Recensione: Strength and Vision

Di Giuseppe Casafina - 20 Dicembre 2016 - 14:28
Strength and Vision
Band: Slavia
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2007
Nazione:
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85

Nella vita non è alcuna certezza, nessuna.

Così di colpo, un qualcosa di tangibile ti trascina inesorabilmente nella dimensione di coloro che non son più in vita, nei meandri di quello che vien chiamato Aldilà.

Ma, tale Aldilà, esiste?

Non lo sappiamo, come già detto non abbiamo alcuna certezza, soprattutto su questioni che sono più grandi di noi.

Ma per fortuna alcuni noi sanno trascinare monumenti della loro presenza prima di scomparire dal mondo dei presenti, come nel caso di Jonas Raskolnikov Christiansen, in arte Jonas aus Slavia, unico mastermind dell’ormai defunto (assieme al suo leader, morto nel 2011 a causa di un cancro) progetto Slavia e che i più attenti ricorderanno come singer sui primi album di Koldbrann e Disiplin.

“Strength and Vision” rappresenta, a tutti gli effetti, il manifesto attitudinale della visione musicale e di vita del buon Jonas, una vita vissuta sempre all’insegna dell’estremismo sonoro tutto eccessi e senza compromessi. E senza girarci attorno, questo accumulo di Visioni e Resistenza è infarcito di classico ed efficace black metal. Ma a Jonas tutto questo non bastava, no. Bisognava spingere il suono all’eccesso, distorcendolo senza compromessi, perchè estremizzare un estremismo è spesso l’unica soluzione per permettere ad un qualcosa di rimanere puro. Ed ecco venir fuori un magma di suoni freddi, asettici e zanzarosi ma mai incomprensibili o cacofonici: la forza di un album storico (invero tuttora sottovalutato) come questo sta nel suo essere sia musica che concetto, con ognuna delle due parti che si fonde a vicenda nell’altra.

Le Visioni del buon Jonas erano genuine, oscure, se vogliamo anche malate (basterebbe dare anche una sola occhiata all’artwork del disco per rendersene conto) ma non per questo inefficaci o lontane dalla comprensione reciproca: visioni espresse come già scritto in un viavai di riff minimali, una voce distorta ed una drummachine, tenuta in sottofondo quanto basta sotto l’incedere del marasma black metal, ma mai nascosta nella sua natura artificiosa ed inumana.

Come inumano è l’assalto sonoro elargito da pezzi come l’iniziale ‘Pissdrained Castles of Gold’, dove dopo un incedere di marcia da musica classica (Sinfonia No. 9, ‘Dal Nuovo Mondo’ di Antonín Dvořák), si parte immediatamente sparando all’impazzata un mix di riff ‘Celticfrostiani’ tirati a mille all’ora e sputi di disprezzo verso il Cristianesimo e la modernità. E così, inno dopo inno (difficile definire diversamente la ‘infame’ brevità di ‘The Blasphemic Art’), è facile intuire che questa versione estremamente distorta e semplificata del black metal è davvero un qualcosa di unico, di viscerale, di appassionato e spudoratamente sincero.

Difficile essere più diretti di così, nel mondo dell’estremo, rimanendo allo stesso tempo racchiusi in una dimensione a suo modo colta ed intrigante.

E così, tra campionamenti di urla, citazioni ed un introduzioni orchestrali (vi è anche ‘Marcia Funebre’ di Frederic Chopin, scelta per introdurre ‘Divided by Three’, brano su cui fanno da capolino le parti vocali di Vicotnik dei Dødheimsgard, ex-Strid) ecco che questo disco diverrà la tua nuova pelle oppure il tuo più acerrimo nemico in chiave musicale.

Infatti, qualunque sarà il nostro esito nei confronti di questa Opera Magna, è praticamente impossibile rimanere indifferenti dall’assalto furioso e davvero senza compromessi forgiato dalle mani (e dalle penna, in quanto autore di quasi tutti i testi del disco) di Jonas aus Slavia, dove pezzi come ‘Not Even Human Fucking Beings’ rappresentano un attacco spudorato all’intero genere umano, vero e proprio macigno di metallo nero della vecchia scuola scagliato con dissacrante veemenza contro il povero ascoltatore (con tanto di campionamenti di guerra e bombardamenti sul finale).

Con questo disco il ‘buon’ Jonas si autoproclama fiero marciante verso l’Apocalisse, vale a dire quel classico personaggio di cui sai bene che alla fine porterà a termine il suo compito e che, quando lo farà, lo avrà fatto nella maniera più sleale e dolorosa possibile.

Nessun accenno modernista, nessuna ricercatezza sonora, nessun calo di tensione: inutile un’analisi pezzo per pezzo, dato che tutto il disco è un testamento completo dove ogni pezzo è un tassello di unico discorso a suo modo complesso, ma racchiuso in un black metal dal tiro del tutto diretto ed assassino, sporco e davvero ‘bastardo’ (termine azzeccatissimo, almeno a detta di chi scrive) dove, ascoltando pezzi come ‘The Abess Desecrator’ (con Ghash, degli Aptorian Demon, alla voce) si sfiora il capolavoro nel capolavoro.

Insomma…il 2007 è stato un grande anno per il Black Metal e “Strength and Vision” rappresenta a tutti gli effetti uno degli ultimi, se non proprio l’ultimo, portavoce del verbo black metal più puro ed incontrastato. Forse la fine di un’era, forse no. Epitaffio finale?

Come detto in apertura non abbiamo certezze, resta però evidente il fatto che dischi del calibro onorevole di “Strength and Vision” oggi non li crea più nessuno.

Dovremmo gioirne oppure esserne infelici? Nessun certezza, ancora una volta.

L’unica certezza è che te ne saremo sempre grati, Jonas.

R.I.P.

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