Recensione: Stronghold

Di Alessandro Calvi - 3 Febbraio 2004 - 0:00
Stronghold
Band: Summoning
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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90

Quinta pubblicazione per la band di Protector e Silenius datato 1999, ma primo a proporre alcune nuove sonorità, tanto da poter  essere considerato quasi una sorta di punto di svolta tra i dischi precedenti  e i successivi dei Summoning. Questo suo essere da molti considerato un punto di svolta lo ha portato a giudizi contrastanti da parte del pubblico, considerato  da alcuni come il capolavoro indiscusso della band, mentre da altri inteso  come un mezzo tradimento. Questo disco infatti si discosta leggermente dai suoi predecessori presentando un approccio sicuramente più melodico ai brani, viene un po’ meno una certa vena di true-black a favore di una maggiore epicità e musicalità, questo se da una parte ha permesso alla band di acquisire un buon numero di nuovi fan, ha lasciato in parte scontenti una buona fetta dei loro fan della prima ora.

Ma passiamo a parlare delle tracce del disco in modo da spiegare al meglio le motivazioni delle mie parole di poco fa. L’impianto epico della musica dei Summoning è una delle cose che ha ricevuto gli impulsi più forti al punto da diventare una delle caratteristiche principali del sound della band in questo disco. L’incedere di ogni song è marziale, lento e a tratti quasi ossessivo, particolari questi che possono effettivamente far storcere il naso a qualcuno se non è abituato o non è un appassionato del genere, il fatto poi che ognuna delle tracce di questo disco sia lunghissima non depone certo a loro favore.
Dal punto di vista delle ritmiche questo Stronghold non aggiunge nulla di particolarmente nuovo rispetto ai precedenti album. Di nuovo invece c’è che i Summoning per la prima volta non registrano più agli Hornix Studio ma si appoggiano a uno studio di registrazione privato costruito da loro stessi, quasi a voler sottolineare un nuovo corso degli eventi. Dal punto di vista delle liriche non troviamo grandi cambiamenti, il tema fondamentale dei loro testi è sempre l’opera immaginifica di J.R.R.Tolkien, si parla quindi del Signore degli Anelli principalmente ma anche dello Hobbit, del Silmarillion e di tutti gli altri scritti del professore sudafricano.
Per la prima volta inoltre troviamo una voce femminile dietro al microfono in una intera canzone dei Summoning, si tratta di Tania Borsky dei “Die Verbannten Kinder Evas” che interpreta la quinta traccia Where Hope and Daylights Die. La sua voce è davvero emozionante e grazie alla sua impostazione quasi lirica riesce a donare uno spessore in più alla song, una canzone che per inciso sembra letteralmente cucita addosso alla voce di Tania, risultando almeno per me una delle migliori del disco.
Nell’intro e nell’outro del disco continua un piccolo esperimento dei Summoning e così, anche se a fatica e pesantemente modificati, ritroviamo anche alcuni sample di parti parlate, in questo caso si tratta ancora di spezzoni presi dal film Braveheart come già in passato e, per la prima volta, anche dal film Legend, un film fantasy purtroppo poco conosciuto con un giovanissimo Tom Cruise, diretto da Tony Scott.

In conclusione un disco fondamentale nella discografia dei Summoning in cui si segna un leggero cambio di direzione nel sound della band, più guitar oriented, con più parti di tastiera a donare una maggiore melodicità al tutto. Si tratta del disco che ha portato Protector e Silenius a sancire una decisa differenza tra la loro musica e l’ambito black. Un disco che potrebbe far storcere il naso ai più vecchi fan della band, ma comunque fondamentale per poter dire di conoscere almeno un po’ questo gruppo.

Tracklist:
01 Rhun
02 Long Lost to Where No Pathway Goes
03 The Glory Disappears
04 Like Some Snow-White Marble Eyes
05 Where Hope and Daylight Die
06 The Rotting Horse on the Deadly Ground
07 The Shadow Lies Frozen on the Hills
08 The Loud Music of the Sky
09 A Distant Flame Before the Sun

Alex “Engash-Krul” Calvi

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