Recensione: Stupefying Beliefs

Di Daniele D'Adamo - 18 Agosto 2012 - 0:00
Stupefying Beliefs
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Genere:
Anno: 2012
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60

Band dai natali non più giovani (1997), i Symphony Of Symbols rappresentano una solida realtà che naviga nell’underground dell’Est europeo. Una volta tanto non corrispondente alla Polonia ma all’Ungheria, giacché si tratta di un genere, il death metal, che proprio nella nazione baltica ha avuto uno sviluppo stupefacente.  

Sándor Szalkai (chitarra) e István Forró (batteria), membri fondatori, hanno avuto un bel daffare a rendere stabile una line-up che, sin dall’inizio, è stata variabile come il tempo in primavera ma, alla fine, ci sono riusciti grazie a Zsolt Militár, chitarra e tastiere, con il quale è stato registrato, per la label ucraina Metal Scrap Records, il full-length d’esordio: “Stupefying Beliefs”. Per la cronaca nella carriera dei Symphony Of Symbols c’è un altro CD, ma si tratta di un’autoproduzione risalente al 2002 “Fall Of Enigma (Horrification Rules On The Four Continents)”.

Malgrado una produzione discografica così scarsa, il combo di Hódmezõvásárhely dimostra al contrario un’ottima professionalità e padronanza sia degli strumenti sia dell’esecuzione, sintomo evidente che i singoli musicisti hanno alle spalle un retroterra culturale non indifferente e una buona esperienza nel campo. Il death da essi proposto, difatti, presenta notevoli elementi tecnici che, seppur mantenendo lo stile lontano dal cosiddetto ‘technical death metal’, ne caratterizzano la forma. Una forma articolata, variegata, evoluta, costruita attorno a un’intelaiatura mai banale anzi fantasiosa e complessa. L’odore è quello dell’old school ma la foggia finale è un connubio fra le sue sonorità tetre e grezze, appunto, e gli arzigogoli musicali tipo quelli degli Antigama, per fare un esempio. Una perfetta trasposizione della vertiginosa scala oggetto della copertina del disco, insomma. Accanto al roco e bestiale growling/screaming di Sándor Hajnali, assai aggressivo, si possono quindi apprezzare i finissimi lavori della tastiera di Militár e il macchiavellico drumming di Forró, sostenuti adeguatamente dall’enorme lavoro di Szalkai alla chitarra e di Tamás Mezey al basso. Per un sound che, alla fine, è sicuramente personale e che, anche, odora un po’ anzi parecchio di ‘avanguardia’.
   
Anche se non originale, appare azzeccata l’idea di alternare i brani veri e propri (sei), tutti piuttosto lunghi, a brevi intermezzi ambient/strumentali; giusto per alleggerire la tensione e la pressione di una proposta musicale comunque poderosa, massiccia, dura, arcigna e per nulla d’immediato recepimento. E, qui, si arriva al punto debole di “Stupefying Beliefs”, almeno a parere di chi scrive: l’esagerata macchinosità. Come già accennato, i sei pezzi ‘veri’ sono tutti delle vere e proprie suite che arrivano sino a undici minuti (“Things That Only The Magus Knows”). E tutti, a parte “Time Has Come”, si rivelano dei bocconi indigesti anche per le bocche e gli stomaci più allenati. Canzoni come “Fire For The Body”, cioè, appaiono senza capo né coda, appesantite inutilmente da innumerevoli accidenti musicali, dissonanze, cambi di tempo, accelerazioni pesanti e tutt’altro che dinamiche. Anche passando molte volte il platter sotto il laser, non si riesce a districarsi in mezzo al guazzabuglio di note che infestano tutte le direzioni possibili e, alla fine, arriva inesorabile – senza nemmeno aspettare poi troppo – la noia.

Probabilmente, invece, se i Nostri avessero puntato a un modus compositivo come quello della menzionata “Time Has Come”, “Stupefying Beliefs” non sarebbe stato così ostico. I suoi riff, difatti, seppur mutevoli e differenziati, sono abbastanza lineari e, soprattutto – assieme al tappeto delle tastiere – riescono a creare un’atmosfera arcana, ricca di pathos e, cosa che non guasta, attraversata da qualche momento più armonico e meno asciutto.   

Così, purtroppo per Szalkai e i suoi compagni, non è. E quindi, in definitiva, seppur “Stupefying Beliefs” sia certamente un lavoro complessivamente sufficiente in virtù della sua ottima manifattura , si rivela terribilmente tedioso e, pertanto, destinato a un inesorabile dimenticatoio.
   
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Cold Season 1. 1:10
2. Time Has Come 10:41
3. Cold Season 2. 1:00
4. The End Of Material Life 8:12
5. Cold Season 3. 0:42
6. Fire For The Body 8:23
7. Cold Season 4. 1:03
8. The Fire Of Revenge 6:51
9. Cold Season 5. 0:52
10. Roaming 10:28
11. Cold Season 6. 0:43
12. Things That Only The Magus Knows 11:10
13. Cold Season 7. 1:15

Durata 62 min.

Formazione:
Sándor Hajnali – Voce
Sándor Szalkai – Chitarra
Zsolt Militár – Chitarra/Tastiere
Tamás Mezey – Basso
István Forró – Batteria
 

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