Recensione: Surprisingly Heavy

Di Riccardo Angelini - 14 Marzo 2009 - 0:00
Surprisingly Heavy
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Anno: 2008
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75

Per la serie “grandi vecchi dimenticati”, torna alla ribalta Coste Apetrea, leggenda vivente del rock scandinavo, mago delle sei corde degli anni ’70 e benemerito Carneade dalle nostre parti. Qualche ardito speleologo del rock per visionari ricorderà forse quel ‘Rites Of Passage‘ immesso sul mercato dalla diligente Lion Music nel non così lontano 2006. Disco interessante, molto interessante, che offriva un saggio non esaustivo ma assai eloquente del talento e delle virtù compositive del chitarrista svedese. Due anni dopo il buon Coste prova a estrarre un altro coniglio dal cappello, consapevole del fatto che – vada bene o vada male – fuori dai confini patrii se ne accorgeranno probabilmente in due.

Quando un musicista suona per puro piacere, è facile che di ripetersi non ne abbia nessuna voglia, e che quindi rimescoli le carte in tavola per giocare una partita tutta nuova. Un titolo che più esplicito non si può ci priva però della sorpresa di scoprire Coste Apetrea in un’inedita veste appesantita. Nulla di particolarmente estremo, sia ben chiaro, ma l’approccio heavy delle chitarre si distacca da quello sempre funambolico ma più mite dell’ultima prova da studio. Il riffing si fa non solo più duro ma anche più diretto – anche se di qui a definirlo orecchiabile o comunque di facile fruizione ce ne passa. Ciononostante dalla tracklist affiorano pezzi scherzosi e sbarazzini come ‘Don’t Hold Back’, ‘Mental Oil’ o ‘Macho’: complice la durata contenuta e la presenza di parti cantate, brani come questi alleggeriscono di molto l’ascolto, pur senza pretendere un posto fra i pezzi più pregiati della discografia apetreana. In precedenza la coppia strumentale ‘Surprisingly Heavy’/‘Chased By Shadows’ aveva ben pensato di scacciare subito la banalità a suon di calci nelle terga, intrecciando complicati arabeschi di chitarra prossimi a un progressive di chiara ispirazione metal. Controindicazioni: l’ascolto prolungato può causare difficoltà nella digestione.
La seconda parte del disco offre spunti più diversificati, che rendono giustizia all’eclettismo senza frontiere di Apetrea oltre che alla sua tecnica stupefacente. Inutile cercare influenze specifiche, o si finirebbe per banalizzare il tutto con i soliti tre/quattro nomi: Fripp, Howe, Lake, Hackett… No qui c’è molto di più, in primis personalità. E poi jazz (tanto jazz), fusion, blues, funk, flamenco, un tocco di classica e naturalmente prog a palate: quanti oggi saprebbero comporre una ‘Kolkata Traffic’ o una ‘Kyrkish Piis’, permettendosi di assestare qua e là un paio di sonore mazzuolate nel contempo?

Inutile girarci ancora attorno: se in terra di Svezia Coste Apetrea è considerato un fuoriclasse, una ragione ci sarà, e non la scopriamo certo noi oggi. I suoi virtuosismi lasciano a bocca aperta, ma è la verve creativa depositata nelle singole composizioni a elevare l’axeman scandinavo fra i numi tutelari dell’Olimpo delle sei corde. L’altra faccia della medaglia è un disco, al solito, maledettamente difficile. I perdigiorno abituati a divorarsi un album in un pugno di ascolti possono risparmiarsi un sacco di tempo e fatica, passando direttamente all’articolo successivo. Chi invece sarà disposto a raccogliere la sfida è pregato di munirsi di orecchio ben allenato e attenzione in dosi massicce. La ricompensa è un’esperienza sonora che, soprattutto nella seconda sezione, non mancherà di soddisfarlo pienamente.

Riccardo Angelini

Tracklist:
01. Surprisingly Heavy
02. Chased By Shadows
03. Don’t Hold Back
04. Pumping Hello
05. Mental Oil
06. Macho
07. Shadowboxer
08. Kolkata Traffic
09. Take The Stairs
10. Magicians Gloves
11. Closer
12. Kyrkish Piis

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