Recensione: Svartir Sandar

Di Matteo Concu - 9 Giugno 2012 - 0:00
Svartir Sandar
Band: Sólstafir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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85

Mi chiedo cosa stia succedendo in Islanda, sarà l’aria che gira. Dico questo perchè ogni volta che vengo a contatto con un’entità musicale proveniente da quella bellissima isola ne rimango scioccato.
E’ successo con Bjork e Sigur Ros nel ramo della musica mainstream, con gli elettronici mum, con i Momentum, tutti act capaci di plasmare uno stile unico e personale.

Questa introduzione serve a presentarvi la nuova fatica dei Sólstafir, uscita a due anni di distanza dal buonissimo “Köld“. Il full si scompone in due dischi: il primo intitolato “Andvari“, mentre il secondo “Gola“; il lavoro è stato suddiviso così per la gran mole di materiale scritto, ma non ci sono differenze sostanziali tra i due.

Possiamo dire che “Svartir Sandar” non presenta stravolgimenti a livello di sound ma piuttosto continua il discorso musicale del disco precedente, affinando per bene il songwriting. Nonostante la notevole durata del platter (siamo sugli 80 minuti) le canzoni sono di facile presa e memorizzabili sin dal primo ascolto, cosa che non accadeva nell’uscita precedente. Ovviamente questo non vuol dire che sia un album facile, però il fatto di poterlo apprezzare dal primo ascolto aiuta a riascoltarlo varie volte, al fine di comprendere i vari particolari di esso.

L’intero platter rappresenta un lungo viaggio, il vagare senza meta nel deserto di un’anima dannata con i suoi scuri e torbidi pensieri. I brani sono delle lunghe cavalcate dove il desert rock viaggia a braccetto con il post rock e il prog e il doom, costruendo un monolite oscuro. “Ljós í Stormi” mostra subito l’evoluzione della band, con i suoi riffoni desertici che ti si stampano subito nella mente e la voce di Tryggvason che riconosceresti tra mille; il brano non annoia ma ti prende con sé per tutti i suoi lunghissimi 11 minuti. Il disco continua con la semi ballad “Fjara“, pezzo in crescendo, arrichito dalla presenza della cantante Ragnheidur Eiriksdottir.

Con “Þín Orð” si riparte subito a mille e ci vengono mostrate nuovamente le caratteristiche presenti nell’opener, vale a dire riffoni stoner rock, urla sguaiate e un drumming indiavolato. “Sjúki Skugginn” ha un incidere lento e disperato, le linee di chitarra diventano cupe e la voce si tramuta in una cantilena disperata, come se l’anima che vaga nel deserto si fosse fermata a riflettere nel buio della notte che la circonda. Probabilmente l’episodio più intenso del primo disco. “Æra” torna su coordinate rock con i Sólstafir che tornano a picchiare e spingere. Continuando nell’ascolto del disco possiamo notare come ad una traccia “diretta” se ne affianchi una atmosferica e lenta, come a voler quasi rapprensentare il giorno (gli episodi dall’impronta metal/rock) e la notte (le composizioni più scure e medidative). “Andavari” viene chiuso da “Kukl“, una sorta di outro che mi ha riportato alla mente i grandissimi Dead Can Dance, per via dell’atmosfere cupe e sospese nel tempo.

Melrakkablús“, che apre “Gola“, parte in maniera soffusa, quasi a voler rappresentare il crepuscolo, per poi esplodere vigorosamente: stavolta il pezzo mostra le due facce del sound presenti nel disco, come se il giorno e la notte danzassero assieme creando uno stupendo contrasto nella mente dell’ascoltatore. Il finale in ascesa chiude in maniera davvero convincente questo capolavoro. L’highlight dell’intero platter.

Ora possiamo notare come la struttura del primo disco sia stata stravolta, come se il nostro protagonista fosse caduto in un sonno profondo, dove buio e luce sono una sola cosa.
Draumfari“, “Stinningskaldi” e “Stormfari”  sono da considersi come un’unica canzone suddivisa in tre parti. A tali song partecipa, in veste di ospite, Gerdur G. Bjarklind, veterana delle radio Islandesi. Con la title track e “Djákninn” arriviamo alle fase finali di questo lunghissimo viaggio: la prima è una cavalcata ferale e bastarda con una parte centrale e una chiusura davvero epiche; “Djákninn” ci riporta invece sulle cordinate di “Ljós í Stormi“, come se la nostra anima si fosse risvegliata dal sonno/delirio in cui era caduta, pronta a riprendere un nuovo cammino. E così si chiude questo grandissimo ed intenso disco.

Tirando le somme, i nostri hanno confezionato il capolavoro della loro carriera, un disco che verrà e deve essere ricordato nei prossimi anni a venire. Un altro tassello fondamentale nella loro discografia, non posso che aspettarmi grandissime cose per il futuro.
Chapeau.

Un ringraziamento sentito va all’utente Draconist, che mi ha aiutato nella comprensione del concept attorno al quale ruota l’intera opera.

Matteo “mariottide666” Concu

Tracklist:

Disc 1: Andvari
1. Ljós í Stormi
2. Fjara
3. Þín Orð
4. Sjúki Skugginn
5. Æra
6. Kukl

Disc 2: Gola
1. Melrakkablús
2. Draumfari
3. Stinningskaldi
4. Stormfari
5. Svartir Sandar
6. Djákninn

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