Recensione: Swine Plague
I Dead Head nacquero come progetto discografico nel lontano 1989, pubblicando poi nel corso della loro storia una serie di alcune demo, sei album in studio, compreso questo di cui vi stiamo parlando. Un’attività discografica piuttosto diluita nel tempo, figlia certamente di una realtà comunque underground e che si vede ora prodotta da una label attenta a certi suoni, come Hammerheart Records.
La proposta dei nostri è un thrash metal vecchia maniera, capace, come molte altre realtà dell’epoca anni ottanta e inizi novanta, di avvicinarsi al death. Un sound pungente ed aggressivo, che ci ricorda molto i Kreator, che per tecnica e raffinatezza esecutiva si sposta anche sui lidi di Sadus, Atheist e Dark Angel. Un sound quindi più vicino alla scuola americana il loro, senza attimi di pausa e con molteplici ed inaspettati cambi di tempo a spezzarne le probabili direzioni. I brani mostrano alcune pause improvvise, cambi di direzione intrisi di una certa sfrontata consapevolezza. Da quel punto ben preciso poi ecco scatenarsi un inferno fatto di assoli taglienti a cui è impossibile restare indifferenti.
Brani come ‘Fortress of Greed’ o ‘The Awakening’ sono adrenalina allo stato puro, vortice che tutto ingurgita freneticamente. Caotica estasi che ci porta in alto, lasciandoci in un attimo in apnea in un occhio di un ciclone che ci mostra la cruda realtà. I pezzi si equivalgono, lasciando le loro radici a dissetarsi in acque ben conosciute. Tutto ciò non adombra la follia e fantasia degli artisti, seppur adepti di suoni e timbriche già sentiti.
I Dead Head sono incalzanti, aggressivi ma mai fini a se stessi, quasi uscissero dall’ombra e ci stringessero idrofobi alla gola. Bestialità che però non lascia di sé un’immagine di totale esaltazione, furia che in più punti si fa meditata e che non ci tedia per eccessività. Full-length che farà la gioia dei nostalgici e che entusiasma per dinamicità ed energia prodotte.
Stefano “Thiess” Santamaria