Recensione: Symbiosis

Di Daniele D'Adamo - 28 Ottobre 2012 - 0:00
Symbiosis
Band: Abiotic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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82

Giusto due anni per affilare le armi, un EP nel 2011 (“A Universal Plague”), e per gli Abiotic è giunto il momento del debut-album, “Symbiosis”, in uscita con la gloriosa Metal Blade Records. Se la gavetta è stata breve e il contratto discografico importante si deve pensare, subito e senza indugio, a una bravura fuori dalla norma e non, come magari i più maligni potrebbero ipotizzare, a una smodata fortuna e/o a facilitazioni di sorta: i cinque musicisti provenienti dal Sud della Florida fanno davvero paura, e sotto tutti i punti di vista.

Una tecnica straordinaria, che consente loro di imbracciare i propri strumenti al top del professionismo mondiale con una sorprendente facilità nel saper scalare i più complicati sentieri armonici, non sempre – e la Storia l’ha dimostrato – è stata sufficiente per creare opere altrettanto valide e interessanti dal punto di vista artistico. Per riuscirci, a una formidabile abilità manuale deve sommarsi la capacità di mettere in fila le note sì da costruire un insieme concreto, dotato di un inizio e una fine, che si muova sulla catenaria di un robusto filo logico libero da coercizioni. Come una funivia le cui destinazioni sono le più alte e impervie vette del Mondo.

Quasi a fissare immediatamente cosa significhi una parte dell’‘Abiotic-sound’, e cioè il technical death metal, l’opener “Metamorphilia” mostra un’intricatissima partitura ritmica, contraddistinta dal drumming a 360° di Andres Hurtado, dai vertiginosi riff dissonanti di Johnathan Matos e Matt Mendez, dall’agile diteggiatura di Alex Vazquez ma, soprattutto, dalla voce di Ray Jimenez. Clamorosa sorpresa, perlomeno per chi scrive, del combo di Miami. Capace di tirar fuori dall’ugola uno screaming scellerato, allucinato, schizofrenico, che sovrappone spesso e volentieri a sferzate d’inhale e a bordate di growling. Del resto, l’inestricabile base musicale della song sarebbe un esercizio dall’impossibile, o quasi, soluzione per qualsiasi cantante. Non per lui che, con abilità diabolica, riesce a tirar fuori delle linee vocali perfettamente incollate agli arzigogoli disegnati dai suoi colleghi, tali da cementare il sound in un’unica entità perfettamente intelligibile, e non solo per i palati più fini.
La seconda faccia del sound dell’ensemble americano, che aderisce senza alcuna soluzione di continuità a quella appena descritta, è rappresentata dal deathcore. La breve “Vermosapien” e la lunga “A Universal Plague” ne sono l’esempio: riff segaossa dalle accordature ribassate, mid-tempo la cui pesantezza è insostenibile, breakdown iper-barici, stop’n’go fulminanti, blast-beats a ondate, rallentamenti angoscianti. Il tutto, condito da campionamenti elettronici (“To Burgeon And Languish”) che aiutano a dotare il sound complessivo di un’aurea di modernità che ben si amalgama all’enorme tecnica messa in campo dal quintetto a stelle e strisce.  

Benché le disarmonie siano pressoché infinite e la melodia quasi del tutto assente, il formidabile sound degli Abiotic non stanca, non annoia. In certi frangenti, come per esempio in “Hegira” o in “Conquest Of Gliese”, la band inserisce dei brevi alleggerimenti atti a spezzare un po’ l’enorme massa di accordi sparati dalla bocca degli strumenti musicali. Naturalmente, senza perdere mai il filo del discorso, cioè il mood caratteristico che avvolge “Symbiosis”. Un mood ipnotico, a tratti tetro, asciutto e serioso.  
Ma è con brani come “The Singe” che la sinergia fra technical death metal e deathcore raggiunge l’acme, in un’alternanza devastante fra follia scardinatrice e soffocante pesantezza, dove i laceranti soli delle sei corde squarciano un’atmosfera sempre tesa e carica di tensione. Oppure con “Exitus”, ove il caratteristico anzi unico scream di Jimenez accompagna per mano i tratti a più elevato numero di BPM che, quando calano, trovano invece il growl a fare da gregario.
In ogni caso, anche quando la velocità diverge e la mente stenta a mantenere la lucidità per seguire le terrificanti bordate di Jimenez e soci (“Facades”), l’ordine e la pulizia regnano sempre sovrani, impedendo al caos incontrollato di far capolino dagli accidentati panorami di “Symbiosis”.

“Symbiosis” che, con la sua consistenza, maturità, ricchezza di sperimentazioni e contaminazioni, fa degli Abiotic una delle più gradite sorprese dell’ultimo trimestre di questo 2012 in materia di death metal estremo. Anzi, ‘estremissimo’.  

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Metamorphilia 3:59
2. Vermosapien 1:25
3. A Universal Plague 6:26
4. To Burgeon And Languish 4:55
5. Hegira 4:25
6. Conquest Of Gliese 6:12
7. The Singe 4:49
8. Exitus 6:50
9. Facades 3:12
10. The Graze Of Locusts 0:54

Durata 43 min.

Formazione:
Ray Jimenez – Voce
Johnathan Matos – Chitarra
Matt Mendez – Chitarra
Alex Vazquez – Basso
Andres Hurtado – Batteria
 

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