Recensione: Symbolic

Di Matteo Bovio - 14 Giugno 2002 - 0:00
Symbolic
Band: Death
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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90

Questo album fu una sorta di profezia, una preparazione a quello che sarebbe culminato come un vero e proprio capolavoro; recensire questo album col senno di poi, con la consapevolezza di ciò che sarebbe successo, permette di metterne in mostra un aspetto molto importante. Oltre a descriverne la semi-perfezione, è possibile infatti prestare attenzione nel cogliere quei segni, quei particolari, che preannunciavano la svolta del successivo The Sound Of Perseverance. A far la differenza su questo capolavoro è stato sicuramente il drumming impeccabile, al limite della macchinosità, di Gene Hoglan, universalmente riconosciuto come uno tra i migliori musicisti dietro le pelli. Ma è anche la vena compositiva che si è rivelata magistrale, quasi da manuale.

Quello che stupisce, come in ogni altro album dei Death, è come ci siano profonde differenze rispetto agli altri lavori, ma grande omogeneità all’interno delle varie canzoni; quasi che ogni loro album fosse un capitolo a sè stante, come se ogni volta desiderassero scrivere una nuova pagina nella storia del metal. Ecco così partorito Symbolic, forse il loro album più intricato, forse quello più “genialoide”, in qualunque caso una perla difficilmente imitabile. Ripensando alle strutture semplici del loro esplosivo esordio, si rimane quasi allibiti davanti a pezzi come l’introduttiva title-track: passaggi funambolici si susseguono, si rincorrono e si intrecciano, e il risultato è una song destinata ad essere riposta con cura e gelosia nei cuori dei fans.

E cosa dire poi di un brano come 1000 Eyes, che pur passando da tempi dispari e stacchi tecnici impressionanti, non dimentica il punto fondamentale, evitando di scadere nella tecnicaglia; questo è il brano che sempre mi verrà in mente quando qualcuno nominerà questo album, perchè qui vi è racchiusa l’anima di questo loro episodio musicale. La tecnica al servizio di una musica che si adatta senza smagliature ai loro testi, parole che ci descrivono in maniera visionaria il mondo come Chuck lo vedeva… in declino. Ecco dunque arrivare le fobie di Zero Tolerance, la dissacrante crudezza di Empty Words, e così via per 9 lunghi episodi.

In parte Symbolic rivela il controsenso dell’affermare che i Death siano stati da ispiratori ad altri gruppi: ascoltando integralmente l’album risulta fin troppo difficile credere che qualcuno possa plausibilmente sperare di ripetere quel che è stato fatto… Capitolo totalmente a sè stante nella storia del Death metal (anzi, del metal in generale), questa band ha con il suo penultimo lavoro innalzato il proprio nome ad un livello ancora più alto, sebbene potesse sembrare impossibile. Solo quando avrete ascoltato e spremuto fino in fondo questo album vi sarà palesemente chiaro cosa significhi attribuire il titolo di ‘Classico’ ad un cd, perchè questo era il destino di questa ennesima perla targata DEATH.
Matteo Bovio

«Do yoy remember when
Things seemed so eternal?
Heroes were so real…
Their magic frozen in time»

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