Recensione: Symphony for the Lost

Di Andrea Poletti - 16 Gennaio 2016 - 0:15
Symphony for the Lost
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2015
Nazione:
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70

I Paradise Lost possono essere metaforicamente visualizzati nella famosa figura dell’araba fenice, col passare del tempo attraverso la rinascita dalle proprie ceneri cercano di riallacciarsi a ciò gli è stato strappato dalla vita per questa o quella ragione innalzandosi sopra le asperità. Dopo un excursus nel territori sperimentali e “post goticheggianti” che hanno lasciato l’amaro in bocca ad alcuni fans sono man mano ritornati sulla retta via (nel bene o nel male) producendo tre ultimi album di pregevole fattura. Ovviamente non stiamo a descrivere e incensare lodi sull’operato dei nostri negli ultimi anni però avere ben chiaro quello che è stato il percorso intrapreso e la genesi che ha portato a questo live album è interessante e fondamentale al fine di una maggiore comprensione. Symphony For the Lost non è un semplice live album, ma una inedita collaborazione tra la band e la Orchestra of State Opera Plovdiv; un perfetto esempio di cosa è possibile ritrovare oggi in sede live a livello di prestazioni attraverso uno spumeggiante album come The Plague Within, un pattern che ha fatto rinascere una verve decisamente più oscura e death oriented rispetto al passato. Assistere dal vivo ai Paradise Lost, oggi come in passato, è un’esperienza più unica che rara, riescono finalmente ad offrire un repertorio istrionico e variegato come pochi avvalendosi di un singer corposo e multisfaccettato quale Holmes, che dal canto suo anche in questa sede propone una prestazione ottimale e focalizzata sull’atmosfera.

Focalizzandoci su un argomento molto spinoso vien da chiedersi: serviva oggi un live di Mackintosh & soci? Approfondiremo in chiusura di recensione questo argomento ma potremmo vederla in due modi: No perché ne abbiamo molti nel rooster della band e questo è solo un riempitivo che non accentua e non scalfisce nulla. Si perché la particolarità di questo doppio album sta nell’avere una volta per tutte la possibilità ascoltare i nostri cari Inglesi accompagnati da un’orchestra vera e propria. Un’esperimento che ovviamente in ambito metal non risulta nuovo, ma alla luce dei fatti, porta un ventata di aria fresca su alcuni classici che si lasciano ammirare sotto una luce differente rispetto al suono oramai consolidato da anni che tutti conosciamo.

Doppio album dunque, il primo con otto canzoni all’interno coadiuvato dalle magiche atmosfere che solo gli strumenti classici possono offrirci ed il secondo più schietto e diretto senza coinvolgimenti esterni; tanta carne sul fuoco per ogni appassionato che si rispetti che desideri ascoltare in questa o quella maniera i “perduti”. Suddividere i due album non serve a nulla poiché uno senza l’altro offrirebbe una visione incompleta dell’intero progetto, così faremo. La tracklist si orienta tra passato presente e futuro del gruppo, essendo stato registrato nel 2014 con The Plague Within ancora da immettere sul mercato, cercando di offrire una visione globale sull’intera carriera della band che da sempre è riuscita a districarsi tra un genere e l’altro senza mai perdere l’identità che li contraddistingue, forgiando tracce immortali dalla singolarità carismatica. Il passato è rappresentato da brani storici quali As I Die, Joys of Emptiness, One Second, The Last Time e l’immortale Gothic; il presente è offerto da Tragic Idol, l’ancora fresco Faith divide Us Death Unite Us con la tracklist e Last Regret, mentre l’ipotetico futuro è riscontrabile dalla sola Victim of the Past. Una breve anticipazione da quello che qualche mese dopo sarebbe diventato poi il loro ultimo album in studio ufficiale. Non vi è solamente una riscoperta delle tracce sotto una luce nuova che hanno caratterizzato l’intera carriera dei Paradise Lost, ma anche la conferma che assistere ad un loro show e riuscire a percepire la potenza di canzoni quali Over the Madness, Soul Corageous o Erased in sede live offrono un’esperienza più intensa e diretta che in un album in studio non è mai possibile percepire. Ovviamente la produzione dalla loro con una cura dei dettagli maniacale, pertanto ogni strumento risalta alla perfezione, suonando organico preciso e malinconico allo stesso tempo. Certamente come spesso succede in sede live molte tracce prendono un’aurea completamente differente, non c’è nulla di male ed il pubblico ne è da sempre consapevole perché riproporre brani scritti e concepiti oltre vent’anni addietro nella stessa identica maniera risulterebbe stupido ed effimero. Probabilmente ci si aspettava qualche classico in più per una serata che sarebbe dovuta fungere da monumento a quello che è stato e ciò che dovrà poi essere, una testimonianza ulteriore del loro continuo progredire; proprio questa sfumatura ci lascia aprire una parentesi sui difetti di questo live. Andiamo con ordine.

Symphony For the Lost pur essendo un ottimo prodotto che come già detto ci offre una nuova prospettiva sulla band, a conti fatti porta anche uno scarso entusiasmo da parte del pubblico e dei fans che di certo, maniaci a parte, non andranno a spendere molto tempo e denaro su questo prodotto. Esistono due versioni del live, una che ci offre solamente il formato audio delle due trance del concerto, la seconda viene proposta con un live DVD dalla durata di soli ventisei minuti. Ora sorgono due domande all’utente medio. Perché offrire soli ventisei minuti di concerto quando l’intera durata è stata di oltre ottanta? Perché imbastire una scenografia, una bellissima arena ed un casting per le riprese, con nessi e connessi, se mi fate solamente otto brani con orchestra e di punto in bianco le altre nove vengono proposte senza salutandoli tutti miseramente? Quali scelte ci sono dietro queste coordinate? Certo a noi non è dato a saperlo e ci si accontenta di ciò che realmente arriva sul mercato ma tutto chiaro non lo è di certo. In proporzione, pur non essendo lo stesso genere, i Satyricon in tempi recenti hanno effettuato tale operazione con un concept alle spalle di ben altro spesso se proporzionato a questo che sembra quasi un prodotto creato dal nulla per andare ad appesantire una discografia, che ad oggi risulta più che mai corposa. Lungi da me da criticare il prodotto in quanto tale come già scritto essendo decisamente valido e di ascolto quasi obbligatorio per chi ha cura dei Paradise Lost, ma non è il live definitivo e probabilmente non ha mai avuto intenzione di diventarlo ahimè.

Salutiamoci ora, congratuliamoci momentaneamente con la band per averci regalato una prestazione ottimale, un packaging studiato nei minimi dettagli anche se creato a discapito di una dubbiosa operazione commerciale che poteva essere gestita ipoteticamente meglio. Per i fans maniaci del collezionismo e nessun altro.

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