Recensione: Symphony X

Di Cristian Marchese - 23 Gennaio 2006 - 0:00
Symphony X
Band: Symphony X
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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70

Michael Romeo, esordiente chitarrista dai buoni propositi che già nel 1994 metteva al mondo il suo primo album “The Dark Chapter”, decide di formare un gruppo che lo vedesse leader ma che trovasse negli altri membri un ottimo appoggio compositivo ed esecutivo.
Così nello stesso anno viene affiancato al basso da Thomas Miller (già compagno in altre occasioni), Jason Rullo e Rod Tyler, rispettivamente batteria e voce, e da Michael Pinnella alle tastiere.

Quello che traspare dal primo lavoro degli statunitensi è un Power Metal sinfonico, che a dispetto della dicitura, che già accompagna numerosi gruppi da tempo, si rivelerà negli anni pieno di spunti più o meno originali che doneranno un marchio di fabbrica inconfondibile al sound della band.
È vero che le contaminazioni dal guitar hero Malmsteen sono più che scontate, ma la band sembra pronta, grazie all’innesto di membri dalla forte personalità, ad evolversi pur sempre rimanendo nelle sonorità annesse a quel Power Prog che già i Dream Theater avevano sfiorato in precedenti capitoli della loro carriera.
È chiaro che in un disco d’esordio muovere critiche verso la qualità del suono o la poca originalità della proposta musicale offerta dalla band, pregna ancora di numerose influenze come già detto, è pressoché inutile, se ci mettiamo poi a fare un processo ai Symphony-X per delle influenze che rimarranno presenti ma matureranno un lavoro dopo l’altro, cambiando e facendo evolvere la band e regalando ai fan più d’un capolavoro, allora forse sarebbe il caso di fare lo stesso discorso per tanti nomi osannati che non hanno nemmeno il coraggio di cambiare il sound ai loro nuovi lavori per la paura di vendere 2 copie in meno.

Detto questo andiamo a smascherare musicalmente la prima fatica dei Symphony.
“Into the Dementia” ci addentra nelle atmosfere neoclassiche già evidenziate dalla copertina e la sorpresa più bella è forse il riff rabbioso di “The Raging Season” stile “Evolution – The Grand Design” apripista del glorioso V, che adempie perfettamente al ruolo d’opener.
Calano subito le luci e le ottime atmosfere classiche tessute da Pinnella per l’intro di “Premonition” sfociano purtroppo in una banale cavalcata terzinata che seguita dal noioso tappeto di doppia cassa e dalle stantiie linee vocali disegnate da Tyler, distruggono il brano e i buoni propositi del suo prologo.
Ma ecco “Masquerade”, uno degli highlight più significativi del full lenght. Le liriche sono più particolari, i cori adatti, la composizione più concentrata verso la finalizzazione del pezzo (virtù che i Symphony-X mostreranno a pieno sull’eccellente “The Divine Wings Of Tragedy”), Romeo non esce eccessivamente dagli schemi ed il pezzo inizia ad avvicinarsi alle song più raffinate dei successivi lavori.
Stesso discorso per “Absinthe and Rue”, in cui la band acquista una certa dinamicità (non fosse per il ritornello), ma comunque il pezzo riesce e trasporta avanti questa prima fatica dei Newyorkesi grazie anche, questa volta bisogna dirlo, ad un assolo veramente piacevole di Romeo, che nell’occasione mixa tecnica e armonia in maniera pacata e di gran classe.
La riuscita di una ballad, si sa, ricade in maniera importante sulla prestazione del cantante in questione, e forse il tanto criticato Tyler, verso il quale non mi sento di muovere alcun disappunto attinente al resto dell’album, mi delude certamente in “Shades of Grey”, sotto il punto di vista dell’interpretazione calda come un pezzo di ghiaccio.
A dispetto della secolare tradizione discografica mondiale, la seconda parte del disco invece d’incappare in song riempitive e prive di senso, s’evolve abbastanza positivamente in quella che può essere definita la sperimentazione nei parametri standard dello stile targato Romeo. Ecco che così nascono pezzi che sicuramente non passeranno alla storia ma che un loro perché lo hanno. Parliamo di: “Taunting the Notorius”, che ci rialza violentemente in piedi, dopo il relax della track precedente e che rappresenta una delle composizioni piu intelligenti dell’album, vista la necessità d’un pezzo completamente tirato; “Rapture of Pain”, pezzo buono, multicangiante e dal facile ritornello; ”Thorns of Sorrow”, in cui Pinnella ancora una volta firma gli straordinari per l’intro; e la song di chiusura, “A Lesson Before Dying”, che nei suoi 12 minuti abbondanti di tempo fa un ottimo resume di quello che è gia stato sentito poco prima con un tocco forse più grave e dal gusto marcatamente Prog.

Disco d’esordio non bello come gli eredi ma che merita un ascolto valutativo di premio per rendersi conto di qual è stato il distinto albore di un’ottima band che ha saputo sopravvivere egregiamente tirando dritto per la propria strada ed imponendo uno stile ben particolare tra le critiche e i propri cloni.

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