Recensione: Synchronized

Di Silvia Graziola - 17 Luglio 2007 - 0:00
Synchronized
Band: Dial
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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77

I Dial nascono nell’autunno 2003 dall’unione di tre musicisti, spinti dal desiderio di dare libero sfogo ala propria creatività e di lasciarsi trasportare dalla musica, senza trincerarsi dietro a un genere prefissato o a un gruppo conosciuto. Il trio è formato da Liselotte Hegt, Rommert Van der Meer e Kristoffer Gildenlow, noto ex bassista dei Pain Of Salvation.
Verso la fine del 2004 il gruppo incide una demo tuttora non pubblicata, mentre due anni dopo l’incontro con il produttore e musicista Devon Graves (DeadSoul Tribe/Psychotic Waltz) dà i suoi primi frutti, dando l’inizio ai lavori per il disco di esordio, Synchronized.
Synchronized, sincronizzato. Sincronizzato come il fuggevole momento in cui si condivide a tal punto l’empatia con un’altra persona da pensare, vivere e respirare come un’unica entità. Da questo parte il disco di esordio dei Dial, un disco che parla di brevi momenti e di sguardi indietro verso il passato, nostalgici istanti, ma anche di argomenti più leggeri e frivoli.

Una delle cose che non può essere fatta nel momento in cui si ascoltano i brani composti da un gruppo che si è formato con lo scopo di suonare la musica dettata dal loro istinto e dal loro cuore è proprio quella di tentare di catalogare questo album e di inserirlo all’interno di un genere musicale particolare, in quanto le sue influenze sono tanto frequenti quanto diffuse.
Per questi motivi i Dial sanno essere un gruppo camaleontico, ma con la giusta misura, alternando momenti quasi frivoli, leggeri ad altri di maggiore impatto e pathos, senza tuttavia risultare dispersivi: ogni canzone vive di vita propria all’interno di Synchronized e, anche se questa disomogeneità può essere inizialmente spiazzante, il risultato finale risulta comunque piacevole.

Se il brano di apertura, Beautiful, parla della bellezza a tutti i costi (“Cause Inner Beauty doesn’t matter”) e lo fa in modo orecchiabile, con sonorità quasi pop, l’energia della voce di Liselotte sembra un’attrazione irresistibile a canticchiarne il ritornello mentre la si ascolta, il brano successivo sembra fare capolino da un disco degli Opeth più acustici e interiori, dove le linee vocali di Kristoffer parlano di emozioni che ottimamente si adattano al titolo della canzone: Sadness.
Synchronized è un saliscendi di umore e di emozioni quasi imprevedibile, che porta con una velocità incredibile da uno stato d’animo all’altro, proponendo la cover di un famoso brano pop di Marcella Detroit, Jewels. Qui la reinterpretazione musicale e le linee vocali femminili danno un forte impatto al brano, allo stesso tempo orecchiabile e deciso, mentre si parla di dolci, caramelle e personaggi improbabili in Candyland, con l’ausilio della voce del soprano Eugenia Lackey, ospite del disco.
La seconda parte del disco è quella più interiore, dove Green Knees apre un sipario sui ricordi di infanzia, delle ginocchia sporche di erba suggerite dal titolo di un bambino che cresce e si relaziona con il padre; il brano è melodico, cantato con la voce quasi sussurrata di Gildenlow che accompagna il leggero arpeggio di chitarra, mentre in alcuni punti l’uso del basso fretless ricorda quasi alcuni passaggi degli Abstracta.
Questo dialogo tra padre e figlio ritorna in Hello e i trasforma in uno scambio tra la voce di Kristoffer e di Liselotte, che duettano su uno spoglio sottofondo musicale, ornato unicamente da deboli tracce di batteria, di pianoforte e da tastiere, quasi marziale nella sua chiusura.
Points Of View è un’elaborata visione della stessa situazione da diversi punti di vista, che musicalmente può avvicinarsi nuovamente agli opeth più acustici, dove più scene strumentali si alternano e quelle più energiche possono quasi strizzare l’occhio agli Ayreon, per poi dare spazio all’introduzione di pianoforte con cui nasce Wish It Away, uno dei pezzi forse più interessanti del disco. L’ottavo brano di Dial è un lento lasciarsi il passato alle spalle, sopraffatto dai ricordi, dove padrona della scena è ancora la voce dell’ospite Devon Graves, toccante, quasi arrendevole ma fortemente espressiva, aiutata da un ottimo tappeto di pianoforte che si adatta ottimamente all’ atmosfera, rarefatta, quasi irreale e sognante.
I suoni ovattati di basso sono l’inizio di Wounded con le sue ferite lasciate aperte da una storia finita, dove voci distorte, quasi malsane si alternano a suoni soffocati e anch’essi distorti dalla lontananza, soffocati e legati nelle tematiche al breve brano successivo, Nature’s Cruelty e dai suoi suoni quasi allucinati, canzone rivelatrice del significato del titolo dato all’album.
Ultima solo in ordine di uscita, Childhood Dreams sa essere un’ottima chiusura del disco, con il suo rapido salto verso il tema dell’infanzia. Il punto forte della canzone è ancora una volta la voce bassa, suadente di Gildenlow, ridotta a un sussurro, ridotta talvolta a parole, resa ancora più piacevole dalle incursioni di chitarra e di pianoforte, dove le divagazioni strumentali e gli assoli di chitarra hanno molto in comune con i pink floyd dell’ultimo periodo.

Silvia “VentoGrigio” Graziola

Tracklist:

01- Beautiful (05:00)
02- Sadness (04:34)
03- Jewel (04:30)
04- Candyland (03:40)
05- Green Knees (05:57)
06- Hello (03:56)
07- Points Of View (05:37)
08- Wish It Away (05:08)
09- Wounded (03:12)
10- Nature’s Cruelty (02:17)
11- Childhood Dreams (08:05)

Formazione:

Liselotte Hegt: Voce, Basso, Tastiere
Rommert van der Meer: Chitarre elettriche e acustiche
Kristoffer Gildenlow: Basso, Chitarra, Voce, Tastiere, Double Bass, Violoncello, Mandolino

Musicisti esterni:

Dirk Bruinenberg: Batteria e Percussioni
Devon Graves: Voce, Chitarra Elettrica
Eugenia Lackey: Cori

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