Recensione: Syncretism

Di Daniele D'Adamo - 23 Febbraio 2017 - 17:10
Syncretism
Band: Sinister
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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90

It’s a new story of sacrilege. Sinister is here to support the amalgamation of dark religions and rituals. The killer riffs, pounding drums and extra dimensions provide this dark atmosphere! Wait for this majestic delivery and convince yourself – this is Syncretism! This is Death Metal!

La definizione di death metal fornita dagli olandesi Sinister a mò di cappello del loro tredicesimo studio-album, “Syncretism”, non ammette repliche. Tutto ciò che concerne le religioni oscure e i loro rituali, anche se non conciliabili fra loro, converge nell’unico scopo pratico possibile: il death metal, appunto.

E, fra le migliaia di band che da un quarto di secolo frequentano le lande desolate del metallo della morte, i Sinister sono fra quelle che possono assurgere a livello di demiurghi del genere stesso. Sono nati assieme a esso, non l’hanno abbandonato quando, a metà degli anni novanta, ha toccato il minimo assoluto in termini di popolarità, travolto e umiliato dal gothic e dal black metal.

Sono risorti e ora esplodono, letteralmente, nella loro ineguagliabile bellezza.

L’incipit di ‘Neurophobic’ azzarda una sinistra sinfonia, lucente di fiamme infernali, che si apre come d’incanto in un main-riff gigantesco, mostruoso, violentissimo. Il sound delle chitarre è pazzesco, scortica la pelle, strappa muscoli e tendini, sega le ossa. Il rombo del tuono della voce di Adrie Kloosterwaard è qualcosa di spaventoso, arcaico, primordiale. Growling furioso, bestiale, d’inversione ai toni umani. Le orchestrazioni s’inframmezzano al ciclopico muraglione di suono eretto dalla band, dipingendo con ciò uno stile tenebroso, tetro, oscuro. Sfuriate di blast-beats sono come tornadi che roteano fulmineamente spezzando l’inerzia dell’atmosferica. Toni grevi, bui, indemoniati.

La maestosità del sound ribalta ogni cosa, ridefinendo con precisione il death metal puro del terzo millennio. Qualcosa che è, insieme, moderno e ancestrale. Il drumming di Toep Duin, oltre a forare con decisione la barriera dei blast-beats divergendo irresistibilmente, è tormentato, accidentato, mai troppo complesso ma neppure lineare. Il corretto compromesso fra tecnica e leggibilità. Con un assunto imprescindibile: la potenza. Che non viene mai meno. Enorme, titanica, sconquassante, anche durante i momenti ove i cinetismi della band assumono valori di assoluta grandezza (‘Convulsion of Christ’). In certi momenti, la produzione schiaffeggia con forza la faccia in virtù di una restituzione graticolare delle due asce da guerra (‘Blood Soaked Domain’). Riff su riff si susseguono, si rincorrono non dando tregua a niente e a nessuno. Scarificando in profondità, sino all’anima. Un delizioso tormento per l’apparato psicoacustico, che non conosce nemmeno un secondo di tregua, nei pazzeschi quarantotto minuti di durata di “Syncretism”. La carne straziata viene ricucita dolorosamente dalle sequenze acute delle chitarre (‘Dominance by Acquisition’), dai cori soffusi che inneggiano a riti innominabili, alle cupe ombre che si allungano dagli angoli di una musica scellerata, smisurata, devastante.

Sebbene il technical death metal sia altro settore, l’esecuzione, da parte del quintetto di Schiedam, è perfetta. Frutto ovviamente della tecnica – appunto – ma, soprattutto, dell’esperienza, che inspessisce il mostruoso impatto musicale di quel feeling inspiegabile ma percepibile, che solo gli ensemble più grandi riescono a trasmettere.

Devasto su devasto, distruzione su distruzione, i Sinister non decelerano mai dalla loro andatura terremotante, spingendo come dannati anche quando spunta, imperiosa, quell’aria sinfonica già menzionata, che, per il suo indovinato mood, sprizza sangue da tutti i pori (‘Syncretism’). Proprio la title-track, incastona nel ribollente magma ritmico, rivoltato da chitarre e basso, allucinate dissonanze che non fanno altro che aggiungere orrore su orrore. E ceffoni. Ceffoni da riff portanti letteralmente sconquassanti, ciascuno talmente ben concepito ed eseguito sì da essere canzone nella canzone, da mandare indelebilmente a memoria (‘Black Slithering Mass’, ‘Rite of the Blood Eagle’).

Il macello di membra non si esaurisce mai, anzi, proseguendo lungo il platter appare quasi in crescendo. Probabilmente è lo sfiancamento della resistenza di chi ascolta, giacché ‘The Canonical Rights’ e ‘Confession Before Slaughter’ paiono alzare ancora l’indescrivibile pressione idrostatica del liquido ematico che preme con energia infinita sulle membrane timpaniche. Gli assalti ai quattro quarti si dilatano immediatamente nella follia dei blast-beats. È la fine. È l’annichilazione totale.

È… il death metal.

Daniele “dani66” D’Adamo

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