Recensione: Tales of a Holy Quest

Di Eugenio Giordano - 8 Febbraio 2004 - 0:00
Tales of a Holy Quest
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Anno: 2004
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30

Perseverano, con una ostinazione che ormai rasenta l’ironia gli svedesi The Storyteller arrivano alla pubblicazione del terzo disco, devo dire che la band in questione rappresenta una delle peggiori formazioni power metal che mi sia capitato di sentire negli ultimi dieci anni, credetemi ne ho sentite tante. Quando ascolti un disco degli The Storyteller la prima cosa che ti passa per la testa è: “ma perchè?” e la seconda è: “ma quando finisce?”, la stessa sensazione ha accompagnato l’ascolto del loro ultimo cd “Tales of a holy quest”. Potrei riempire questa recensione con considerazioni e critiche rivolte a moltepici aspetti del sound di questi quattro musicisti ma per venire rapidamente al nocciolo della questione posso asserire che la musica degli The Storyteller, ai miei occhi, è semplicemente inutile. L’inutilità di una band come questa risiede nella totale sterilità artistica delle loro composizioni che sono solo vergognose amalgame di strutture rimasticate, ripetute senza personalità, prive di una reale motivazione musicale. E’ innegabile, se non siete della mia opinione sono contento lo stesso, che questi ragazzi si limitino a emulare (forse il verbo giusto sarebbe “copiare”) le decine di band che affollano la scena metal svedese odierna e che sostanzialmente fanno il gioco degli Hammerfall e nulla più di questo. Ne deriva una pochezza compositiva sconcertante anche alla luce della consapevolezza di quante band metal devano ruscare nell’anonimato per anni senza poter incidere un disco quando lo meriterebbero veramente. Se penso a quante demo, o autoproduzioni, superino il valore artistico di questi quattro svedesi mi viene il magone, e credo che se i ragazzi che suonano in  band senza contratto ascoltassero un platter come questo non non potrebbero che demoralizzarsi. Se i The Storyteller hanno raggiunto il terzo disco è solo per la volontà monetaria di chi li produce e li supporta cercando di indurre i ragazzi a seguire un trend prestabilito. Una band dovrebbe in primo luogo tentare di raggiungere una personalità artistica definita, ma i The Storyteller non ci hanno mai provato, dopo tre cd è veramente difficile accettare una situazione simile. C’è una serpeggiante opinione comune, l’ho percepita nettamente in più recensioni, di chi crede che questa band sia addirittura giunta a una maturazione, mi chiedo come si possa vedere in una tale mediocrità artistica anche solo il barlume di un processo maturativo. In ogni caso, se la band avesse la vaga sensazione di non essere effettivamente all’apice della scena metal almeno eviterebbe di sfornare dischi lunghi come delle calende, invece gli astuti The Storyteller hanno la convinzione di dover riempire i loro cd con composizioni lunghe, prolisse, noiose, che nel raggio di pochi minuti rovinano completamente l’ascolto. Quindi, evitando di scendere nei dettagli, posso descrivervi l’ascolto di questo “Tales of a holy quest” come un’ora di vera noia, alla fine della quale mi è rimasta solo la voglia di prendere una aspirina per contrastare il mal di testa che mi aveva preso. Canzoni come “Seed of lies”, “A holy quest” oppure “Trials of blood” sono solo una successione in serie di riff già sentiti un centinaio di volte, linee vocali ripetute ostinatamente nel tentativo di renderle piacevoli, una sezione ritmica piatta come poche e veramente poco competitiva. Il disco è stato registrato ai Fredman Studios con l’ausilio di Fredrik Nordstrom (chitarrista dei bravi Dream Evil e produttore degli In Flames) un nome importante del metal contemporaneo e mi soprende che una firma rinomata come la sua sia finita su un disco tanto brutto. Il suono della band è curato sotto il profilo tecnico e questo mette ancora più in risalto la sterilità compositiva delle composizioni che a lungo andare lasciano affiorare la scarsità di idee della band. In conclusione posso solo consigliarvi di cuore di tenervi lontani il più possibile dagli The Storyteller e spero veramente di non dovermi più trovare al cospetto di un loro lavoro, quattro sarebbero veramente troppi. Nel caso di questa band i detrattori del power hanno veramente di che divertirsi ma fortunatamente per noi ci sono tante altre formazioni power metal ben più ispirate e personali. Ironicamente, o se preferite simbolicamente, il disco si conclude con un pezzo intitolato “…And still they speak”, appunto. 

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