Recensione: Tao Of The Devil

Di Simone Volponi - 3 Marzo 2017 - 10:00
Tao Of The Devil
Band: Brant Bjork
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Brant Bjork è un nome di culto, che a suo modo fa parte della storia del rock.
A inizio anni ‘90 la rivoluzione in flanella portata dalle band di Seattle, Nirvana in testa, faceva scempio dell’hard rock multicolore figlio degli ‘80’s che fino a quel punto aveva dominato. Niente più lustrini e cotonature, ma il grigio, crudo e senza fronzoli, umore pseudo punk di Cobain e soci (invero gli altri più propensi a una rilettura rustica del rock anni settanta). Nel mezzo dell’avvento grunge nasceva una band, lì nel deserto californiano, che fu in qualche modo catalogata come grunge, ma che in realtà avrebbe fondato un nuovo genere: il desert rock, meglio noto come stoner. Si chiamavano Kyuss e Brant Bjork ne era il batterista.

Nella sua lunga carriera, questo bucaniere del deserto, si è aggregato a diverse realtà del movimento stoner (tra cui i Fu Manchu e i misconosciuti Chè) e ha avviato una prolifica carriera solista giunta ai giorni nostri con il nuovo Tao Of The Devil. Occupandosi delle parti di batteria, chitarra e voce, con l’aiuto di un manipolo di solidali provenienti dalla precedente incarnazione della sua band, Brant Bjork rilascia il miglior numero da quando si è allontanato da Josh Homme e soci. Tao Of The Devil è la quintessenza di quanto il vecchio hippie ha sin qui prodotto, ma portato a un livello superiore. Psichedelia, stoner, garage rock impolverato, blues lisergico, il suo inseguire le orme di Hendrix (con il dovuto rispetto) trasmigrandolo tra le sabbie assolate del Joshua Tree, e l’energia di un rock nudo e crudo con addirittura un tocco di raggae.

Proprio qui sta la miglioria rispetto al passato, l’energia, laddove alcuni episodi discografici passati peccavano di troppa marjuana fumata e di un approccio lento e soporifero. Già dall’opener The Green Heen ce ne accorgiamo, con un ingresso arpeggiato stile Hendrix e una progressione ruggente, tanto da ricordare nel suono quella Into The Void sabbathiana che diede il là al movimento stoner. La voce poi ha fatto passi da gigante, così vicina alle tonalità di Zakk Wylde, finalmente incisiva.
In tutte le tracce si respira aria di vecchio rock, tra lunghi assoli pieni di gusto, digressioni space, riff arroganti, sempre con quella spolverata psichedelica tipica dei Kyuss (e andata persa strada facendo dai Queens Of The Stone Age). Ci si muove parecchio con le dirette Stackt e Luvin, così come ci si “stona” nei lunghi mantra di Dave’s War e della bonus track conclusiva Evening Jam, una jam appunto liberatrice e rilassante, un raga da ascoltare sdraiati sul cofano della macchina a rimirare il cielo stellato.

Tao Of The Devil è una gran bella sorpresa per un fan di vecchia data dei Kyuss come me, che però aveva perso man mano interesse per una scena, quella stoner, ormai stagnante e ripetitiva. Per fortuna, i maestri e creatori come Brant Bjork sono ancora qua a riportarci nella “Green Machine” e ai bei tempi di Blues For The Red Sun (Kyuss, off course!).

 

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