Recensione: Ted Nugent

Di Abbadon - 28 Febbraio 2004 - 0:00
Ted Nugent
Band: Ted Nugent
Etichetta:
Genere:
Anno: 1975
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89

Nel 1948 nasceva a Detroit uno dei chitarristi forse meno citati da metallari e rockettari odierni, ma sicuramente tra i più grandi e costanti di tutto il panorama, Ted Nugent. Ragazzo selvaggio e molto “western” se ce n’è mai stato uno, Ted inizia a suonare la chitarra a 8 anni. Avrebbe continuato a suonarla, eccome…. Infatti la sua discografia parla di ben 29 (29!!) album incisi (non tutti sotto il gruppo Ted Nugent, i primi sono fatti con gli Amboy Dukes) fra il 1967 e il 1997, che lo hanno portato a oltre 30 milioni di copie vendute e al titolo di Guitar Showman numero uno del mondo. Ma torniamo al disco. Ted Nugent, dopo lo scioglimento dei Dukes, esce col primo album solista nel 1975, e segna il vero e proprio inizio di una grandissima carriera. Prodotto spettacolare nei suoi contenuti, Ted Nugent è un disco hard rock di caratteristiche piuttosto singolari, nel quale si miscelano alla grande varie sottocorrenti di Rock e altro ancora. Si fondono infatti passaggi e schitarrate decisamente sporche ma cariche di adrenalina a riff di pura scuola sabbathiana (con la differenza delle scale musicali usate) ad ancora parti molto melodiche ed estremamente pulite, miscelate a puro Rock ’n’ Roll, a Hard, spezzoni blues, jazz e quant’altro ancora. Tutto questo è possibile, oltre che all’indubbia preparazione tecnica del quartetto (composto da Cliff Davies alla batteria, Rob Grange al basso, Derek St.Holmes alla chitarra e alla voce, questa forse un po’ rivedibile, e lo stesso Ted all’altra chitarra, quest’ultima tutt’altro che rivedibile), anche grazie a una non comune passione e vena compositiva, che certo non mancava al combo. Ma bando alle ciance e lasciamo scorrere le nove song lungo i quasi 40 minuti complessivi del disco. Questo spettacolare debutto si apre con la imperiosa “Stranglehold”, possente mid tempo di oltre 8 minuti, tra i più grezzi e genuini che si possano avere. Il riff d’attacco è spettacolare, molto sabbathiano seppur più alto come tonalità (come del resto è molto sabbathiana la song stessa), poi per il resto non ci si spreca davvero. Abbiamo una vera dimostrazione di classe e anche esposizione di un gran bagaglio tecnico, dagli assoli (tra l’altro molto lunghi), alle scale, a tutto il resto, una roba da guitar hero davvero ineccepibile, pur mantenendo quel lato “sporco” che non gusta mai. Si continua sugli stessi binari qualitativi, ma con molto più brio ed effervescenza, nella successiva “Stormtroopin’”. Anche qui il riff portante è magistrale, meno metallico del precedente ma nettamente più rapido e forse anche avvolgente. La voce è quasi Ozzyana come timbrica, ma meno paranoica (se mi consentite il termine), e nel complesso gli strumenti sono tutti piuttosto assoggettati dalla guitar principale (esclusa un’ottima batteria), guitar che esplode in uno dei migliori assoli del platter. Forse un po’ più di varietà all’interno del pezzo non avrebbe gustato, tuttavia poco di cui lamentarsi. Completamente differente dalle precedenti tracks la terza “Hey Baby”. Qui abbiamo non molto di Hard Rock, bensì il Rock ’n’ Roll fatto mid tempo, con tanto di sferzate blues e musica del Midwest. Il tutto per un risultato davvero dinamico e carico di emozioni, nonostante l’apparente lentezza. Gli strumenti sono qui molto ben bilanciati e tutti udibili chiaramente, cosa che in Stormtroopin’ non succede. In definitiva un originalissimo modo di rompere le righe rispetto ai binari che il disco stava prendendo, e che torna a prendere con la magistrale strumentale “Just What the Doctor Ordered”. Strabelli sia il riff iniziale che le improvvisazioni delle 6 corde, che formano anche qui una miscela di Hard&Rock’n’Roll, e riff che esalta una tirata sezione ritmica, con la batteria a impazzare. Il brano è anche impreziosito da una serie di cambi di tempo che spaccano letteralmente l’atmosfera da un momento all’altro. Si ritorna alla vena Hard del disco col riffone di “Snakeskin Cowboys”, forse la song che preferisco. Si parte come detto poco fa con un attacco molto duro e graffiante, che diventa però a breve esplosivo, una vera e propria lavata di orecchie. Degni di nota uno speciale assolo, il basso, che una parte importante come supporto delle guitars, e il piano, che sullo sfondo rallegra dei refrain che avrebbe forse dovuto essere più carico. Ma non è finita qui. Infatti non fanno a tempo a lasciarci la testa le note di Snakeskin Cowboys che siamo investiti dalla carica di un’altra hit, “Motor City Madhouse”, suppongo una dedica alla motor city, città d’origine del chitarrista principe del platter. E proprio come Detroit questa Motor City Madhouse è frenetica, pirotecnica, “sclerata”, ma non per questo meno avvincente. Quello che serve per riprenderci da cotal frenesia è una song più pacifica, ed eccoci accontentati. Oddio… non troppo, in quanto non che la vita di “Where Have You Been all My Life”  sia esattamente rose e fiori dal punto di vista della tranquillità. Mid tempo anche questo di qualità altissima, alterna riff davvero da leccarsi i baffi a tratti più melodici, eppure… eppure nonostante la sua energia questa track ha il potere di rilassare, cosa che non sembra possibile sentendola in principio. Siamo su tempi musicali sempre più bassi, e questo trend continua con la lenta, semi jazzistica e particolare “You Make me Feel right at home”. Aperta da una buona batteria, si continua su binari abbastanza rilassanti, con una musica tranquilla ed estremamente melodica (anche qui il profumi del midwest e del sud si espandono in maniera incredibile) alla quale si sovrappone una marea di parole che hanno un pregio, ovvero quello di essere perfettamente comprensibili nonostante la velocità con la quale vengono pronunciate. Sicuramente un mix interessante, cosi’ come interessante e ottima è pure la closer di un album che si è mantenuto splendido e senza cali di tensione dall’inizio alla fine. La closer fa di nome “Queen of the Forest” e, alla prova del nove, è un deciso sunto delle migliori caratteristiche di Ted Nugent (disco e autore), brio, tecnica incredibile, feeling, imprevedibilità, il tutto racchiuso in 3 minuti e mezzo. Davvero senza parole, anzi una frase ancora mi rimane : non lasciatevi sfuggire questo chitarrista, tantomeno questo suo disco, è storia allo stato puro.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Stranglehold
2) Stormtroopin’
3) Hey Baby
4) Just what the Doctor Ordered
5) Snakeskin Cowboys
6) Motor City Madhouse
7) Where Have you been all my life
8) You make me feel right at home
9) Queen of the Forest

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