Recensione: Temple Of Judgment

Di Vittorio Cafiero - 16 Luglio 2016 - 1:40
Temple Of Judgment
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Passione e abnegazione sono le prime parole che vengono in mente approcciando Temple Of Judgment, terzo lavoro sulla lunga distanza dei Savior From Anger, combo a cui oramai l’appellativo “partenopeo” inizia a stare stretto, considerando che solo metà della band è napoletana. Tre anni sono passati dal precedente Age Of Decadence, tre anni durante i quali il chitarrista e mastermind Mark Ryal (nome d’arte dedicato al mai dimenticato leader dei Riot) ha affrontato l’ennesimo stravolgimento di line-up, andando a cercare fidi collaboratori in giro per il mondo. Musicisti sicuramente mossi dall’amore per il vero heavy metal e di certo non alla ricerca di facili guadagni, perché non è davvero il giro della musica underground quello più remunerativo. La nuova fatica discografica, edita dalla tedesca Pure Steel Records (non nuova ad avere nel suo roster band italiane) vede quindi, ad affiancare Ryal, l’americano Bob Mitchell alla voce (Attacker, Vyndykator, Wycked Synn, tra gli altri) e il tedesco Michael Kush alla batteria. Al basso, Francesco “Frank” Fiordellisi, anch’egli come Ryal originario della città campana.

Ancora una volta i Savior From Anger si dimostrano fedeli al loro monicker (Vicious Rumors docet) e ci propongono undici tracce di solido e tradizionale heavy metal, dai connotati principalmente a stelle e strisce, ma non solo. Una produzione tradizionale, quasi vintage, è il contesto in cui l’opener Across The Sea apre i giochi. Immediatamente in evidenza il cantato del nuovo arrivato Bob Mitchell, singer di razza, dalla voce sanguigna e genuina, che ricorda nemmeno troppo lontanamente screamer di alto lignaggio come Jon Oliva e David Wayne, ma anche l’Andi Deris dei primi lavori con le Zucche di Amburgo. Il pezzo è orecchiabile ed ha un buon tiro, come d’uopo per una traccia di apertura e traghetta con ritmo verso la successiva In The Shadows, pezzo da mettere in evidenza per la presenza di Craig Wells (ex Metal Church) in veste di co-writer e per l’elevata qualità generale, tanto da essere scelto giustamente come singolo di presentazione dell’album. Piacciono soprattutto la linea melodica che sostiene il ritornello e il consistente lavoro di ritmica, attributi che rendono la canzone davvero apprezzabile. Decisamente melodica e american-oriented la successiva Bright Darkness, che contrasta parecchio con The Eye, più aggressiva e decisa, con non pochi elementi speed metal. Con Thunderheads siamo in piena zona Metal Church, anzi, ancora di più, tanto che il pezzo per immediatezza e carica ricorda i poco conosciuti ‘Wayne’, progetto culto e celebrativo dell’omonimo cantante scomparso nel 2005. Siamo oramai a metà album e le caratteristiche di Temple Of Judgment sono assolutamente lampanti: heavy metal vecchia scuola, influenze delle migliori nel genere e un songwriting di buon livello sostenuto da capacità tecniche (sia vocali che strumentali) più che apprezzabili. Gli unici difetti sono probabilmente rilevabili nella resa audio non sempre perfetta (batteria e qualche assolo perfezionabile) e chi scrive è convinto che una maggiore vicinanza geografica (e quindi più tempo insieme in sala prove) gioverebbero alla band fornendole quell’amalgama davvero “killer”. Al di là di questi dettagli, bisogna ammettere che le note positive non sono finite: la seconda parte del disco è altrettando valida e prosegue nel mettere in mostra il ventaglio di influenze dei Savior From Anger. Se Chosen Ones ha un flavour decisamente US, The Calling fa pensare lontanamente agli Helloween periodo Master Of The Rings. Quasi di rigore a tre quarti di disco la ballad: è il caso di Starlight, accorata, quasi melodrammatica nel suo incedere, tanto da ricordare certi momenti tanto cari ai mai troppo lodati Savatage o, addirittura, le celebri slow songs che hanno fatto la fortuna dei Meat Loaf. Si prosegue senza particolari sussulti verso la fine: la conclusiva title-track mostra ancora le qualità che caratterizzano più in generale l’intero lavoro, ossia un tiro più che discreto e una buona costruzione del pezzo, che cresce in energia e chiude egregiamente l’album.

Tracciare un giudizio generale su Temple Of Judgment è abbastanza semplice: si tratta di un lavoro indirizzato a chi non cerca particolare modernità in una proposta musicale. Heavy Metal tradizionalissimo e per aficionados, quindi, ma che non esclude buone idee e una certa personalità, benché lontano da qualsivoglia innovazione. C’è ora da augurarsi che questa line-up “tenga” e che le tanto annunciate date in terra americana (stando ai comunicati della band) possano fare da collante e fornire quel senso di unità che da qui in avanti, si spera, possa soltanto aumentare.  

Vittorio Cafiero

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