Recensione: Ten

Di Andrea Loi - 4 Novembre 2006 - 0:00
Ten
Band: Ten
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
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80

Si è sempre favoleggiato sulla creatura di Gary Hughes, personaggio che come pochi contribuì a risollevare le sorti dell’hard rock di matrice europea, restituendogli quella dignità perduta dopo che gli “americani”, negli anni ’80, fecero man bassa a livello di produzioni, accapparrandosi i favori del pubblico con i giganteschi riscontri di vendita che tutti conosciamo.
Alla fine degli anni ’70, sciolti gli Zeppelin e con i Deep Purple che solo a sprazzi si ricordavano della loro immensa classe, senza contare che i Def Leppard (che nei primissimi anni ’80 si rivelarono come la grande speranza britannica) si “accasarono” (in tutti i sensi) oltreoceano,
rimase poco di che rallegrarsi, e lo stato di apnea per l’hard rock europeo fu un lungo calvario.

Quando comparve sulle scene questo disco molti stentarono a credere che cotanta grazia potesse essersi materializzata così d’incanto…
E’ vero, il ciclone grunge aveva fatto il suo corso, ma il fatto che quegli anni furono una gigantesca commistione di suoni alternativi (?), sperimentazioni e quant’altro, lasciava presagire un’inaspettata quanto auspicata inversione di rotta, che di fatto rimescolasse le carte in tavola.
L’hard rock si fece bello e risalì la china, ma a dire il vero tutte le produzioni a carattere prettamente melodico riacquistarono un certo mercato e, perché no, una certa “credibilità” .
La “Now and Then” fu l’etichetta che credette subito nel talento compositivo del buon Gary, che in effetti rilascerà sempre ottime produzioni (oltre i TEN ricordiamo il bellissimo album solista “Once And Future King“) che di fatto confermano come la componente epica sia assolutamente fondamentale nel sound della band (senza dimenticare poi le collaborazioni future nei lavori solisti del cantante Bob Catley, dei Magnum, vera e propria musa ispiratrice dello stesso Hughes…).
Il disco? Perfettibile; ma non privo di momenti memorabili che rispondono al nome di “After The Love Has Gone”, in cui la componente epica si materializza nell’interpretazione sofferta e credibile di Hughes, ma pure nelle clamorose e “gracchianti” chitarre (sentire per credere…) del mago Vinny Burns, coadiuvati entrambi dalle tastiere di Ged Rylands, che si muovono sul velluto e completano l’ opera per uno dei brani più convincenti mai partoriti dalla band.
Senza (s)cadere in facili trionfalismi, l’album, pur non rinunciando ad una propria autonomia stilistica, si muove su territori molto ben collaudati e che hanno avuto illustri predecessori: gli stessi Magnum, Thin lizzy, Rainbow e tutta la tradizione Class che negli anni ottanta ebbe grandi fortune.
E poi Gary ha la capacità di comporre la sua musica su misura per la sua voce che pur non raggiungendo quasi mai picchi che fanno gridare al miracolo risulta in definitiva molto bella, e ricca di feeling.
The Crusades – It’s All About Love , cui spetta aprire le danze, è la sintesi di quanto appena detto e inaugura pure una felice consuetudine della band di aprire i platter con song molto elaborate e lunghe, ma mai scontate. Gli arrangiamenti dal flavour fascinoso e magico pongono il gruppo in un’ottica privilegiata, tracciando un solco con le produzioni del tempo che cercavano chissà quali alchimie per ravvivare i fasti di una decina d’anni prima.
Ecco il nuovo Eldorado: Hard Rock a tinte neoclassiche e con riferimenti al miglior pomp, ma marchiato a fuoco dalla avvincente epicità dal sapore mistico che insieme ai Royal Hunt (pur con le marcate differenze a livello di sound e nell’approccio tra i due gruppi) fanno dei Ten i portabandiera del movimento a livello europeo.
L’introspettiva e intimista Yesterday Lies In The Flame e il mid-tempo The Torch, due pezzi dai toni cupi e sommessi, fanno da contrapasso alla brillante
Stay With Me, che rende al meglio grazie alla acrobazie vocali di Gary e agli arpeggi del menestrello Burns, perfettamente calatosi nelle atmosfere delicate a forte connotazione romantica del platter, e che proseguono con l’ammaliante e dolce Close Your Eyes And Dream.
Tralasciando la sempliciotta Eyes Of A Child, il disco scivola via fino alla convincente “Lamb To The Slaughter”, che tuttavia è solo un antipasto dei conclusivi dieci minuti di
Soliloquy – The Loneliest Place In The World”
, divisa in due parti, e che può ragionevolmente fregiarsi del titolo di pezzo migliore dell’ album, con un Vinny Burns che ricorda a tutti di che pasta è fatto, dispensando lampi di alta classe e un’interpretazione della sua sei corde che tocca vette emozionali difficilmente catalogabili a parole.

Tirando le somme, col senno di poi, vista l’escalation del gruppo coi successivi dischi, questo debutto rappresenta un ottimo momento in musica che ha il merito di fare da spartiacque e quindi legarsi ad un particolare momento storico.
A volte, per dire la verità, sono proprio le chitarre di Burns a “mettere la pezza” su alcuni brani che avrebbero potuto avere una resa complessiva più convincente (relativamente, visto che il livello è comunque altissimo…) .
Ma ad ogni modo va bene, va bene così.

Produced by Gary Hughes & Mike Stone
Mixed by Mike Stone

TEN are:

Gary Hughes – voce
Vinny Burns – chitarra

Greg Morgan – batteria

1.The Crusades /It’s All About Love
2.After The Love Has Gone
3.Yesterday Lies In The Flames
4.The Torch
5.Stay With Me
6.Close Your Eyes And Dream
7.Eyes Of A Child
8.Can’t Slow Down
9. Lamb To The Slaughter
10.Soliloquy / The Loneliest Place In The World

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