Recensione: Termination Redux

Di Andrea Poletti - 17 Aprile 2016 - 18:15
Termination Redux
Band: Aborted
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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50

Gli Aborted sono una band che da sempre non riesce a stare ferma per molto tempo, che sia album, singolo o EP l’importante è far circolare il nome; lo chiede il mercato, lo chiedono i seguaci. Certamente la stabilità all’interno del gruppo è definibile quale labile, essendo Svencho l’unico membro presente in ogni uscita discografica, palese dunque quanto anche la struttura compositiva della band ne abbia risentito sul lungo percorso. Fortunatamente per loro dall’ottimo Global Flatline un percorso stilistico è stato pressoché mantenuto e oggi possiamo finalmente vedere quella che è l’evoluzione stilistica dei Belgi, senza pensare a questo o quello e come sarebbe stato, se, ma, boh, chissà. Terminal Redux è un brevissimo EP uscito in formato digitale e LP che serve a ben poco a conti fatti, una classica intro con il dialogo tratto da un film horror, tre canzoni fresche di repertorio e una re-incisione di The Holocaust Re-incarnate presente precedentemente su Engineering the Dead del 2001. Avevamo bisogno di questo breve album? Senza nulla togliere ai nostri cari, assolutamente no. Solamente il collezionismo puro di fascia underground potrebbe sentire il peso di tale uscita, che a conti fatti offre poco più di dieci minuti scarsa di nuova musica e una cover che riferisci solamente i parametri compositi e produttivi.

La matrice su cui poggia le fondamenta ogni singola canzone nasce dal precedente The Necrotic Manifesto, che aveva confermato la definitiva rinascita del gruppo dopo aver fatto acqua con due uscite discutibili quali Slaughter & Apparatus: A Methodical Overture e Strychine 213. Chi conosce gli Aborted ha ben  presente a cosa si va incontro, non abbiamo molto da aggiungere; du questo EP la differenza più sostanziale è un allentamento dai lidi più vicini al black, dove i blast beat e le chitarre zanzarose diventavano il perno portante, a discapito di un sound più corposo e armonico. Come si può già sentire sulla Titletrack anche l’utilizzo di alcune tastiere offre un’impronta distante dai suoni precedentemente esplorati; anche i Break-down sono più maggiori rispetto al passato avvicinandosi a un sound più moderno e meno personale. Se questa traccia iniziale lascia ben sperare, donandoci nuove interpretazioni da parte del gruppo, è con le successive due che le cose peggiorano, offrendoci un bis che sa tanto di riempitivo, con una struttura pressoché anonima e scontata (sempre considerando la qualità creativa del gruppo) andando a diventare prevedibili e di scarso risultato stilistico. Sembrano proprio gli scarti del precedente The Necrotic Manifesto, inseriti qui dentro tanto per fare numero, senza riflettere bene sulle conseguenze postume. La reincisione di The Holocaust Incarnate, rinominata per l’occasione The Holocaust Re-incarnate, offre la possibilità agli Aborted di reinventarsi e farci ascoltare come suonano oggi pezzi che all’epoca soffrivano di una produzione meno pretenziosa e bombastica; certamente il fascino di quelle tracce è rimasto immutato e nessuno le vorrebbe cambiare, ma almeno possiamo controllare il battito cardiaco e confermare come a conti fatti i nostri, perdono il pelo ma non il vizio. Gli anni sono passati ma la linea compositiva rimane pressoché immutata e spesso questo risulta l’unica arma vincente, confermarsi plasmandosi senza perdere la pelle che ci contraddistingue è roba per pochi.

La produzione meno patatina e più organica, con un sentore meno plasticoso rispetto al recenete passato ci riporta indietro negli anni, pur non andando ad intaccare la possibilità di ascoltare ogni strumento suo apice. Allora come mai dobbiamo bocciare questa release? Non ci vogliono studi e lauree in merito per notare come questo EP non offra nulla e non meriti il prezzo del biglietto, se non come detto all’inizio, per il piacere del collezionismo più sfegatato. Attendiamo il nuovo Retro Gore per avere il vero status di salute del gruppo ma questo Termination Redux, se non per un paio di accenti su alcune tracce, risulta di scarso interesse. 

Come considerazione finale mi viene da pensare alle leggi del mercato, a ciò che ogni giorno vediamo, alla difficoltà delle band di rimanere sulla bocca dei fans senza cadere nel dimenticatoio a causa di una vana attenzione dell’ascoltatore medio; se pur di rimanere al centro dell’attenzione escono prodotti di questo calibro, dentro di noi dovrebbero iniziare a porsi enormi domande. Ai posteri l’ardua sentenza come si suol dire.

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