Recensione: Terra

Di Riccardo Angelini - 19 Aprile 2006 - 0:00
Terra
Band: Cronian
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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76

E’ quantomeno curioso osservare come una concezione di musica conservatrice e intransigente come il black metal sia finita per stillare linfa vitale in un movimento innovatore, eterogeneo e privo di un’identità precisa come quello attualmente detto “avantgarde”. La solida schiera di band dedite all’esplorazione di questi nuovi territori, tra le cui prime file spiccano svariati veterani della vecchia guardia, arruola oggi una nuova recluta chiamata Cronian. Se questo nome non vi dice nulla, forse vi diranno qualcosa in più i nomi di Oystein G. Brun e Andreas Hedlund, meglio noto al pubblico come Vintersorg. Non paghi della fruttuosa collaborazione che li ha visti cooperare negli ultimi anni alla corte dei capiscuola Borknagar, i due vulcanici scandinavi hanno deciso di sviluppare ulteriormente il loro sodalizio, convogliando in un ennesimo side-project le comuni idee cui non avevano ancora dato sfogo.

A prima vista, rispetto agli ultimi lavori delle band madri, il tiro dei Cronian non si sposta più di tanto: rimane la base avanguardistica così come si è evoluta nei recenti Epic e The Focusing Blur, arricchita da una sontuoso tappeto di orchestrazioni da colonna sonora. Meglio però guardarsi dalla trappola dall’aspetto rassicurante delle definizioni rigorose, in particolar modo per una creatura musicale come questa, ambiziosa quanto basta per lasciarsi definitivamente alle spalle l’impenetrabile manto di tenebra del black tradizionale, onde rivelare le sue forme lucenti e sinuose, intagliate nel più puro dei ghiacci.
L’opera compiuta è Terra: una scultura complessa, involuta, difficile da cogliere con un sol colpo d’occhio, luminosa eppure non priva di zone d’ombra. A tratti persino fredda. Anzi, di più: gelida, artica, glaciale. Non aspettatevi emozioni facili, o ne rimarrete delusi. Al contrario, tenetevi pronti ad affrontare un’opera ragionata, cerebrale, meticolosamente costruita e tutt’altro che facile da digerire. A tal punto che brani come Arctic Fever, Nonexistence o Iceolated – probabilmente uno degli episodi più densi di idee del disco – sono di quelli capaci di stordire e scoraggiare anche l’ascoltatore più determinato, proprio a causa della loro opulenza sonora.
Tuttavia, e ciò potrebbe sorprendere, a dispetto di un sound saturato dall’onnipresenza dei sintetizzatori e di una radicale difformità di struttura fra traccia e traccia, le atmosfere che si respirano sono sempre le stesse, immutate, immutabili. E’ uno scenario desolante, che confonde e spezza il fiato. Per quanto lontano possa spingersi lo sguardo, ovunque si allarga uno sterminato manto di candida neve elettronica, spazzato dalla sinfonia dei venti, che ricopre uniformemente le irregolari lande ritmiche e le occasionali vallate melodiche, fino a comporre un luminoso panorama di polare desolazione – simbolo neanche troppo implicito della paradossale condizione di solitudine dell’uomo nella moderna e trafficata età della comunicazione. Ecco così che questa Terra si manifesta sotto le sembianze di uno sterminato deserto di ghiaccio, sempre uguale, sempre diverso, privo di qualsiasi sostegno o punto di riferimento, sul quale l’ascoltatore è destinato a scivolare in eterno, privo di meta o direzione, senza mai potersi afferrare a nulla.

Non stupitevi dunque se i brani vi appariranno simili tra di loro, non stupitevi se anche dopo molti ascolti penserete di non aver conservato nulla, non stupitevi se l’esecuzione sembrerà, manco a dirlo, priva di calore. Questa è musica boreale, “a soundtrack for our current arctic times”: fa tutto parte del gioco. Non ci si poteva certo aspettare un disco normale da menti come quelle di Brun e di Vintersorg, eppure mai come in questo caso di ha l’impressione che i nostri abbiano creato qualcosa soprattutto per se stessi, andando avanti nella propria strada senza curarsi troppo di rendere il boccone appetibile al grande pubblico. Questo il grande punto di forza – e per molti il tallone d’Achille – di un album sfuggente piuttosto che impervio, menefreghista piuttosto che ostile, capace di svuotare il mondo riempiendolo con la sua musica.

Tracklist:
1. Diode Earth (05:00)
2. Arctic Fever (05:42)
3. Cronian (05:18)
4. Iceolated (07:08)
5. Colures (03:12)
6. The Alp (06:04)
7. Nonexistence (05:06)
8. Illumine (07:13)
9. End(durance) – Part I (01:50) 

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