Recensione: The Arcane Odyssey

Di Daniele Balestrieri - 10 Ottobre 2007 - 0:00
The Arcane Odyssey
Band: Sear Bliss
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

I Sear Bliss calcano le scene del metal ormai da 12 anni, eppure non sono esattamente la prima band che viene nominata quando si parla di black atmosferico e sinfonico. Certo non saranno al pari di Wyrd o di Dimmu Borgir, ma a volte ci si chiede perché band dotate di tanto talento non saltino più spesso agli onori della cronaca. Il loro problema potrebbe anche derivare dalla provenienza, l’Ungheria, una terra che è sempre stata ai margini della storia del Black Metal, pur avendo partorito un mostro sacro come Attila Csihar. Da una terra dell’est ci si aspetterebbe un Black Metal di stampo euro-orientale, e sebbene in un certo senso la cosa corrisponde a verità, il loro stile risulta in realtà una mistura a tratti impressionante di velocità scandinave ed epicità teutonica.

Questo nuovo “The Arcane Odyssey” affonda le proprie radici in un sistema binario di tradizione popolare (parte dell’album si ispira alle gesta dell’antica saga ungherese di Hadak Utja) e di atmosfere siderali che ricordano il futuro remoto romantico e decadente degli Arcturus, Un grande nome, simbolo di vanto, al quale si aggiunge anche una certa epicità sofferente che omaggia in maniera impalpabile i Celtic Frost. Tuttavia non è a forza di paragoni che si può comprendere la caratura di questo “The Arcane Odyssey”: il più grande omaggio che si può fare a un album simile è l’ascolto indiscriminato, perché lavori del genere non escono tutti i giorni. La complessità compositiva di quest’opera in musica non si limita all’uso sapiente degli strumenti a corda, ma si allarga trionfalmente a uno degli strumenti più atipici del black metal: il trombone.

Quasi impossibile spiegare la potenza narrativa e musicale di questo strumento profondo ed epico, eppure di canzone in canzone questo strumento riesce a trasmettere vibrazioni che solo pochi altri gruppi hanno saputo trasmettere. Un paragone, in questo caso, con i Summoning non sarebbe fuori luogo: i fiati sintetici di canzoni come Farewell o Mirdautas Vras ricordano da vicino l’uso del trombone di casa Sear Bliss, e un simile filo conduttore non può che portare a una sola parola: epicità, ma epicità in stile prettamente black. La voce graffiante e ben articolata di András Nagy arricchisce le complesse strutture melodiche della maggior parte delle tracce senza umiliarle con uno screaming fuori luogo: è bene ricordare che questi musicisti hanno anni e anni di carriera alle spalle, e tale esperienza si percepisce in alcune delle tracce più lunghe e struggenti (“Blood on the Milky Way” o il magnifico blend di rock e symphonic finnico “A Deathly Illusion”) che si dipanano lungo sentieri talmente affollati di fraseggi e contrappunti da diventare quasi progressivi.
Nulla stona in quest’ultimo lavoro dei Sear Bliss, come nulla esplode realmente prendendo il sopravvento: l’album è tutto da gustare, dalla prima all’ultima nota, in ogni sua sfaccettatura. L’offerta è grande, varia, vibrante, e nel suo grande interesse generale mi ha ricordato persino lo strepitoso debutto dei norvegesi Asmegin, con i quali condividono l’enorme apertura mentale, pur difettando di quel tocco di classe che potrebbe rendere ogni canzone un monumento al genio creativo.

Consigliati, anzi consigliatissimi a tutti gli amanti del black trasversale ispirato, sinfonico, creativo, atmosferico e suonato con mestiere. In questo 2007 non ne troverete molti altri di tale fattura.

TRACKLIST:

Blood On The Milky Way
A Deathly Illusion
Lost And Not Found
Thorns Of Deception
The Venomous Grace
Omen Of Doom
Somewhere
Path To The Motherland

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