Recensione: the Archaic Course

Di Alessandro Calvi - 5 Marzo 2004 - 0:00
the Archaic Course
Band: Borknagar
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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85

Terzo album questo The Archaic Course per i Borknagar datato 1998 dopo l’omonimo disco e il precedente The Olden Domain.

La principale delle novità di questo disco rispetto ai precedenti ci colpisce ancora prima di aver messo il cd nel lettore del nostro stereo. Alla voce non troviamo più Garm bensì il signor Simen Hestnaes, in arte I.C.S. Vortex. Dal punto di vista dell’approccio al cantato non abbiamo sostanziali differenze, così come Garm, anche Vortex alterna nell’esecuzione dei brani sia pezzi in growl che in voce pulita, anche se il risultato, soprattutto nel secondo caso, è probabilmente migliore rispetto al suo predecessore.

Dal punto di vista musicale questo The Archaic Curse continua sicuramente il discorso già iniziato nel precedente The Olden Domain. La musica dei Borknagar passa attraverso un continuo rimescolamento di suoni, di attitudini diverse. Troviamo momenti aggressivi più decisamente legati agli stilemi classici del black metal e altri più lenti e calmi, tutti però accostati, alternati, fusi, con parti più melodiche, o folk, o sinfoniche in un mix che risulta quasi sempre vincente.
Secondo me è il disco con cui i Borknagar si concentrano maggiormente nella costituzione di un sound più originale e personale. Un’operazione questa che a mio avviso paga decisamente perchè rende questo album molto variegato, ricco di suoni e strumenti diversi. Non a caso per esempio sulla sesta traccia “Ad Noctum” troviamo tra gli altri strumenti anche un organetto Hammond come quello reso celebre in molte canzoni degli anni ’70, per esempio dei Deep Purple; un sound che difficilmente ritroviamo in molti altri gruppi black.
Canzoni più ricche si suoni e di influenze quindi, e per questo anche più complesse, più elaborate rispetto al passato che rendono di conseguenza questo The Archaic Curse un album che non si digerisce subito al primo ascolto ma ne necessita sicuramente più di uno per riuscire a coglierne tutti i pregi. Probabilmente la prima sensazione a cogliere l’ascoltatore è quasi un senso di caos per tutti i suoni e gli strumenti usati, sensazione la cui colpa è probabilmente da ricercarsi anche nella produzione. Una produzione non scadente, di buona qualità, ma di fronte agli intrecci chitarristici e strumentali di questo album ne si sarebbe desiderata una di livello ben superiore per riuscire a rendere nel miglior modo questo prodotto sotto molti aspetti davvero ottimo.

Per concludere e tirare le somme ci troviamo di fronte a un disco che oserei definire fondamentale per tutti gli estimatori del black metal sinfonico. Un disco di ottima qualità dal punto di vista delle composizioni e dell’esecuzione da parte di tutti i musicisti qui veramente ispirati. Purtroppo i Borknagar sono una band da sempre piuttosto sottovalutata così come gli album che sforna finendo spesso per fare la figura del cugini poveri di gruppi come i Dimmu Borgir, in questo album invece dimostrano una volta di più di avere una propria definita e originale identità e di potersela giocare alla pari con gente più blasonata di loro.

Tracklist:
01 Oceans Rise
02 Universal
03 Witching Hour
04 The Black Token
05 Nocturnal Vision
06 Ad Noctum
07 Winter Millenium
08 Fields of the Long Gone Presence

Alex “Engash-Krul” Calvi

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