Recensione: The Art of Trees

Di Fabio Martinez - 3 Gennaio 2019 - 0:00
The Art of Trees
Band: Althea
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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90

Anni fa, quando mi dicevano (parlando di musica) “io ascolto un po’ di tutto”, storcevo il naso, quasi mi indignavo. Mi chiedevo come si potesse ascoltare di tutto, come non si potesse avere un’identità musicale ben definita. Io stesso, però, col passare del tempo ho finito per fare la stessa cosa. Ho sentito sempre più la necessità di allargare i miei orizzonti musicali, fino a rendermi conto che l’orizzonte è sempre e solo uno, senza confini. Ora, certo, non direi che ascolto un po’ di tutto ma che ascolto e amo la musica, prediligendo il prog, sì, ma sentendomi talmente stretto nelle definizioni di genere da preferire ignorarle. Con questo voglio dire che trovo sempre più interesse per quelle opere che riescono a trascendere ogni appartenenza di genere, che sono vera e libera musica, che sono state create non per trovare codifiche ristrette ma perché gli autori intendevano fare Musica, farla con la loro natura. D’altronde, quando si ha una vera identità musicale, si crea e si suona con naturalezza spontanea.

Proprio come fanno gli Althea, band milanese e proprio come hanno fatto col loro secondo album The Art of Trees, un lavoro che loro stessi definiscono art rock/metal, semplicemente perché la loro è arte, è musica. Una musica che in questo album racconta una vita a ritroso, quella che il protagonista rivive ed esperisce nuovamente, dalla morte fino alla nascita. Dunque, il lavoro comincia con la suite, in cinque momenti, “For Now, che mostra subito la capacità degli Althea di trasmettere, con notevole sintonia tra parole e musica, la caratterizzazione e le emozioni necessarie per raccontare una storia complessa, trasmettendo anzitutto le cinque fasi del lutto in appena 4 minuti. Il sound proposto colpisce subito la sensibilità dell’ascoltatore, cui, al primo ascolto, sembrerà, per un attimo, di aver cominciato dall’ultima traccia, non dalla prima, tanto riuscito è il proposito di dipanare al contrario il filo di una vita appena conclusa. Poi vi sono la ritmica incalzante e le sonorità taglienti di “Deformed to Frame, intervallate da momenti melodici di commovente trasporto, cantati con dolcezza, energia, rabbia, speranza. Con “One More Time continuano le atmosfere complesse, opprimenti, mentre si comincia a prendere coscienza della morte, ma ricompaiono anche momenti melodici, sospiri di sollievo. Segue l’evocativa “Today, dove la voce di Alessio Accardo ti obbliga a muoverti, a cantare con lui. “Evelyn” è un arioso contrasto di emozioni, che sembra voler far distendere l’ascoltatore, per poi costringerlo ancora a un ascolto attento e impegnato, finendo di nuovo per dare spazio a una sognante e sensibile fase strumentale, quindi alla chitarra, alle tastiere e ai synth, tutti di Dario Bortot, in perfetto amalgama con il basso di Andrea Trapani e con la batteria di Sergio Sampietro. Segue “Not Me, divisa in una prima parte rabbiosa e in una seconda, più acustica, di grande malinconia e suggestione. Poi vi è la sentitissima ballata “The Shade, a tratti jazz nelle note di sax di uno dei quattro ospiti dell’album, Dario Toscano. Segue la traccia più lunga e quella che dà il titolo all’album, con un piano martellante e un’atmosfera che trasmettono sapientemente la saggezza, la pazienza che solo la Natura può avere, l’Art of Trees per l’appunto. In “Away from me vi sono gli altri ospiti del disco: Paolo Campitelli (tastiere), Tommy (assolo di chitarra) e Michele Guaitoli (voce). Chiude “Burnout, che, dopo un intro ambientale che sembra quasi una sfida ai Dream Theater di Metropolis pt. 2, chiude il ciclo vitale e dell’album e della storia, per aprirne un altro, non solo quello dei successivi, invitanti ascolti, ma anche quello di una nuova vita carica d’attese opprimenti per quel bambino appena nato che si sente piangere nel brano.

Con questo The Art of Trees, gli Althea non solo confermano l’ottimo debutto (l’indimenticato Memories Have No Name) ma vanno oltre, producendo un album autentico, senza fronzoli, suonato e cantato dannatamente bene, con grande sensibilità; soprattutto pregevole e che, seppur apparentemente semplice, colpisce dal primo ascolto ma cattura davvero con i successivi, in quanto lavoro incentrato sulla scrittura musicale e dei testi. Un lavoro bello, veramente bello, qualunque musica si prediliga.

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