Recensione: The Bat, the Wheel and a Long Road to Nowhere.

Di Tiziano Marasco - 30 Gennaio 2013 - 0:00
The Bat, the Wheel and a Long Road to Nowhere.
Band: Zatokrev
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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74

Quale insolito nome è Zatokrev, nome che racchiuderebbe in se una certa matrice linguistica slava (krev za to= sangue per questo). Quindi anche maggiore è la sorpresa nello scoprire che tale band in realtà se ne viene dalla centralissima Confederazione Elvetica e, non paga di ciò, contava in formazione solide radici italiche, impersonate dal batterista Silvio Spadino e dal bassista Marko Germentieri. La formazione era poi completata dalle chitarre di Julien Duseyau e dal mastermind Fredryk Rotter, voce e chitarra, unico elemento a giustificare il nome caratteristico del gruppo, trattandosi di tipico caso di svizzero nato da genitori cechi – liberi di non credermi, ma sono più di quanti crediate. Spulciando le cibernetiche carte del web poi si veniva pure a scoprire che alcune liriche degli Zatokrev erano parzialmente scritte in ceco e slovacco, sebbene tali affermazioni a livello d’ascolto e di successive ricerche, abbiano trovato un solo riscontro per il ceco e nessuno per lo slovacco.   

Il quartetto ad ogni modo con tale formazione aveva datto alle stampe due discreti full length, conditi da un EP e da uno split, dopodiché, nel 2007 si era ritirata in un silenzio indefinito dalla quale ha fatto ritorno, a formazione rivoluzionata, solo la scorsa estate, proprio con questo The Bat, the Wheel and a Long Road to Nowhere. Sono spariti infatti gli “italiani”, rimpiazzati da Lucas Löw e da Frédéric Hug.  

Naturalmente i cambiamenti nella proposta della band, da sempre dedita ad un black doom assai livido e scarno, con composizioni lunghe e riflessive, non si sono fatti attendere, sebbene va detto che il suono dei nostri non sia stato rivoluzionato. The Bat, the Wheel and a Long Road to Nowhere propone pezzi estenuanti, anche se non al livello dei predecessori. Si tratta infatti in questo caso di brani decisamente più smussati a livello tecnico e decisamente compatti. Il suono si avvicina per certi aspetti a quello di certi Shining mischiati ai My Dying Bride o agli Agalloch. Ma la vera sorpresa è costituita anche da riferimenti a certo metal spurio, in particolare, a livello di chitarre, si sentono vaghi rimandi ai migliori Deftones (quelli di Minerva o di Passenger), che risultano una autentica sorpresa. La complessità di molti pezzi (ben quattro si attestano attorno ai dieci minuti) porta ad infrequenti eppur prolungati rallentamenti di ritmo, i quali tuttavia non intaccano la compattezza del disco ma in un pio di punti lo rendono forse un po’ forzato, come se per i nostri fare canzoni di proporzioni leviataniche sia più importante di ritrovarsi con una tracklist bella compatta.  

Insomma, gli Zatokrev, armati di riff ruvidi e basi ripetitive riescono a fare la felicità di tutti gli amanti del black, mentre chi si aspetta un disco sludge o di post metal sulla scia dei Neurosis o degli Isis potrebbe trovarsi disorientato. A dispetto della estrema lunghezza dei pezzi e delle digressioni oscure infatti, The Bat, the Wheel and a Long Road to Nowhere vola molto più vicino ai Kampfar o alle band nominate nel terzo paragrafo e si rivela a conti fatti un disco più che valido. Insomma, gli Zatokrev devono fare strada prima di raggiungere gli Agalloch, ma sono già meglio degli ultimi Shining.   

Tiziano “Vlkodlak” Marasco  

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8. The Bat 
9. Angels Of Cross  

 


Frederyk Rotter  Voce, Chitarra 
Lucas Löw Basso, Voce
Frédéric Hug Batteria, Voce
Julien Duseyau Chitarra 
 

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