Recensione: The Beginning

Di Orso Comellini - 26 Maggio 2013 - 10:41
The Beginning
Band: Hammered
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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74

Dovendo approfondire la biografia dei gruppi da affrontare in sede di recensione, sempre più spesso capita di imbattersi in band che, pur essendo praticamente alle prime armi, riescono a coronare il proprio sogno di siglare un contratto per un’etichetta affermata e, conseguentemente, a pubblicare in tempi ristretti l’album di debutto, mentre altre sono costrette a farsi anni di dura gavetta (indipendentemente dalle proprie capacità) vedendo concretizzarsi i propri sforzi solo in forma di autoproduzione (e quindi autofinanziate) oppure ricevendo proposte solo a carriera avanzata. Non sempre questa difformità di trattamento dipende dalla qualità intrinseca della proposta e tantomeno dalla difficoltà di mettersi in contatto con promoter ed agenzie, essendo ormai tutte a portata di click. Piuttosto, questo “atteggiamento” è riconducibile a una mole forse eccessiva di offerta e quindi ad una maggiore difficoltà ad emergere a meno che non si segua sistematicamente quello che è il trend del momento, oltre che ai capricci della dea bendata e persino alla nazione o alla scena di provenienza.

Talvolta però può dipendere anche da una cronica instabilità della line-up, con tutti i disagi che ne conseguono, come – plausibilmente – nel caso dei friulani Hammered. Band attiva ormai da più di dieci anni, inizialmente sotto il moniker Trauma, riuscita solo di recente ad entrare nelle grazie dell’attentissima Punishment 18 Records, grazie alla quale ha finalmente rilasciato il debutto “The Beginning”. Formazione, quella proveniente da Gorizia, che nel corso degli anni ha subito radicali mutamenti, come confermato da loro stessi nella recente intervista sulle Nostre pagine. Tanto che tra i membri fondatori troviamo i fratelli Cicuttin, usciti poi di scena, mentre adesso, oltre a tutti gli altri avvicendamenti, figurano altri due fratelli: Piero e Alfredo Macuz, rispettivamente a basso e batteria. Non solo: rispetto alla line-up a quattro che ha registrato l’album, quella attuale vede un nuovo innesto, Adriano Crasnich alla seconda chitarra, e un ulteriore cambio (proprio Piero Macuz al posto del fondatore Mario Manganelli).

Nell’augurare agli Hammered di aver finalmente trovato la propria quadratura, passiamo ad analizzare il loro album di debutto. Un lavoro che denota fin dalle prime battute tutta l’esperienza maturata dal combo e le indubbie capacità dei singoli. I Nostri poi sembrano avere le idee piuttosto chiare sul genere che intendono proporre e sebbene le loro composizioni non siano personalissime, sono curate senz’altro in maniera professionale e senza lasciare niente al caso. Il loro, infatti, è un mix ben dosato di speed, power e thrash nel quale sono sempre ben riconoscibili le varie influenze, eppure sono riusciti a non smarrire mai del tutto la propria identità. Da apprezzare perciò la loro abilità nel valicare i rigidi paletti di un determinato sottogenere per dare vita a un prodotto comunque omogeneo, sebbene ibrido, che non sembri quindi slegato nelle sue singole parti pur essendo piuttosto variegato, soprattutto se si mette a confronto ciascuna traccia e le varie soluzioni adottate. Chiara riprova di quanto affermato la offre direttamente “No Time For Us”, il brano forse più ambizioso dell’album dall’alto dei suoi otto minuti abbondanti, posto in apertura come una sorta di manifesto d’intenti e che riassume al suo interno, perciò, tutti gli elementi che troveremo poi diluiti negli episodi successivi.

Se da un lato i Nostri non potevano forse regalarci inizio migliore con un‘opener tanto accattivante quanto travolgente, che si chiude con un crescendo di soli e intrecci chitarristici da capogiro che sfociano nel ritornello vero e proprio posto solo in chiusura, forte di uno dei migliori riff dell’album, dall’altro la successiva “Space Invaders” ci offre lo spunto per affrontare quelli che invece sono gli attuali limiti degli Hammered. In primo luogo qualche richiamo di troppo (anche se mai plagio spudorato) a band come i Gamma Ray, in questo caso (come non pensare per esempio all’album “Somewhere Out In Space”?), complice anche la timbrica di Andràs Csàszàr che ricorda in un certo senso quella di Kai Hansen, oppure agli Helloween (“Master Of Your Nightmares”). In secondo luogo proprio il cantato di Csàszàr talvolta troppo legato a stilemi ormai abusati in campo power, come in certi ritornelli di facile presa, ed è un peccato dato che il frontman ha tutte le carte in regola per distinguersi dalla concorrenza in virtù di una voce abbastanza particolare e per la volontà di non limitarsi ad urlare come, purtroppo, attualmente sembra andare per la maggiore. Infine, davvero degna di nota la prestazione dei chitarristi, specie quando spingono sull’acceleratore o nei fraseggi più tecnici che stilisticamente richiamano Annihilator o Megadeth (come il finale di “Bloody Fields”, l’ottima sezione solista centrale di “The Five Hunters” o le ritmiche intricate di “Never Dies”, senz’altro una delle migliori del lotto), ma non sono sempre supportati altrettanto validamente dal basso, penalizzato nella scelta dei suoni (per il resto molto buoni), nei passaggi tipicamente heavy/power in twin guitar, facendo mancare un po’ di mordente e di rotondità.

Meritano senza dubbio menzione, oltre ai cavalli di battaglia già citati, l’articolata “See You In Hell”, forte di un’introduzione chitarristica di sicuro effetto che ci porta ad un riff stoppato sulla falsariga di “Electro-Violence” degli Overkill; la (quasi) strumentale e solenne “Money” e la cover, inaspettata ma non fuori luogo, di “Wait For Sleep” dei Dream Theater, tributo al talentuoso Kevin Moore, autore del pezzo (definito al tempo da autorevoli giornalisti come una sorta di Malmsteen dei tasti d’avorio e forse mai degnamente rimpiazzato dal punto di vista compositivo), qui riproposta in versione molto fedele all’originale.

In conclusione, “The Beginning” è un ottimo passaporto per gli Hammered. Un lavoro strumentalmente quasi ineccepibile, caratterizzato da alcune incertezze facilmente aggiustabili in futuro. Anche perché nella nuova e, si spera, stabile formazione Csàszàr potrà dedicarsi a tempo pieno alla voce, senza doversi impegnare anche sul versante della sei corde se non in fase di song writing, e il nuovo entrante Piero Macuz potrà far valere l’affiatamento con il fratello Alfredo, componendo così una sezione ritmica solida. Album consigliato sia ai thrasher meno intransigenti, sia ai seguaci del power che non cercano nella musica solo ritornelli e atmosfere epiche – comunque presenti.

Orso “Orso80” Comellini

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