Recensione: The Bell

Di Roberto Gelmi - 6 Agosto 2019 - 12:00
The Bell
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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90

Ad ogni nuova uscita targata iamthemorning bisogna approcciarsi con il giusto timore reverenziale, consci di essere di fronte a un unicum musicale che finora non ha mai deluso i propri fan. Ogni aspetto del loro trademark, a partire dal ricercato moniker fino ad arrivare agli artwork bucolici, ha un che di extratemporale: il duo russo, infatti, non sembra collocarsi nell’attuale panorama musicale (fatto di mode, commercialità e spesso sterili derive) ma rivendicare la propria dignità di corpo estraneo e difficilmente replicabile. Il loro sound, infatti, coniuga miracolosamente musica tonale, prog. rock settantiano e una vena atta alla “sperimentazione/divagazione fiabesca”. Il tutto condito con una grande sapienza tecnica accostata a una naïveté che ricorda l’impressionismo musicale di un Debussy del nuovo millennio. Alcuni loro pezzi, inoltre, starebbero benissimo come colonna sonora di un film d’autore.

Ritroviamo questi elementi distintivi anche in The Bell, nuovo studio album che arriva dopo il best of Ocean Sounds e il favoloso disco solista di Gleb Kolyadin. Tutto è da manuale: l’artwork è commovente nella sua semplicità, mentre le canzoni, dal minutaggio contenuto (tranne un paio di eccezioni significative), portano titoli di una semplicità evocativa. Nei tre quarti d’ora di cui si compone, The Bell regala momenti di assoluta perfezione, all’interno di un continuum sonoro dal sicuro fascino che irretisce ogni volta l’ascoltatore, rivelando l’amore indiscusso per la buona musica che muove ancora una volta il duo russo.

S’inizia con i toni fatati di “Freak Show”, composizione articolata che presto s’immette sui binari di una tonalità insinuante (tipica soluzione della band). Non deve stupire, di conseguenza, la presenza d’arrangiamenti d’arpa e altri di sax, volti a creare momenti simil-King Crimson, che infine si risolvono in una piacevole catarsi acustica. Ritroviamo il sassofono (ma anche parti di marimba) in “Sleeping Beauty”, brano più rilassante che invita l’ascoltatore a dismettere ogni inutile patema umano per naufragare in un refrigerio sonoro sopraffino. Il viaggio prosegue senza soluzione di continuità con l’onirica “Blue Sea”: in questo pezzo marino troviamo Gleb in stato di grazia al pianoforte e Marjana si cimenta con la chitarra acustica. Si resta su lidi in pianissimo anche nei primi minuti dell’elegiaca e selenica “Black and Blue”; bisogna aspettare, invece, il terzo minuto della successiva “Six Feet” per ritrovare sonorità più trascinanti e cadenzate. Marjana sembra una sirena dal canto ammaliante, mentre Gleb il degno corrispettivo alla tastiera. La loro sinergia è totale, convergenza perfetta di animus e anima, che traduce la propria dirompente maestria in musica dal sapore senza tempo. Con simili premesse, la presenza degli archi non fa che rafforzare il pregio delle soluzioni musicali proposte. La lisergica “Song of Psyche” tocca vette di trascendenza pura, ma è “Lilies” – per chi scrive – la vera pietra miliare in tracklist (probabilmente sarà uno di pezzi per cui ci ricorderemo degli iamthemorning in futuro). Il merito va al coraggio di Gleb, che propone un ostinato di pianoforte a velocità sostenuta, rendendo il brano un omaggio ai grandi pianisti classici come Chopin e Satie. Semplicemente d’applausi. Gli ultimi due pezzi propongono altri dieci minuti di musica celestiale. Merita una menzione l’eclettismo presente in “Salute”, canzone più lunga del full-length, che include sonorità da luna park a metà minutaggio, parti di tromba, marimba e un lungo assolo di chitarra elettrica nel finale. L’epilogo definitivo spetta alla title-track, musica allo stato quintessenziale e magnetico per sola voce e pianoforte. Tutto termina con un semplice fade out, purtroppo (o per fortuna) non è verosimile aspettarci album chilometrici da parte del duo russo.

Ci voleva davvero la freschezza di questo album di mezza estate, non poteva esserci momento migliore per immergersi nelle note cesellate degli iamthemorning e approfondirne il mistero. Ognuno dopo i primi ascolti avrà la propria song preferita, tutti resteranno sbalorditi dall’ennesimo sfoggio di classe del duo. The Bell è un altro capolavoro di questo 2019, insieme a platter di tutto rispetto come: Grand Tour dei Big Big Train; Jesus Christ The Exorcist di Neal Morse; Echoes From Within Dragon Island dei Karfagen e Shadows degli Introitus. La musica degli iamthemorning merita cinque stelle su Progarchives, non è cosa frequente. Il nostro voto è alto, ma non raggiunge il massimo, perché siamo certi che Gleb e Marjana hanno davanti a loro una lunga carriera e la definitiva consacrazione arriverà con un disco ancor più perfetto.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

 

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