Recensione: The Black Halo

Di Gaetano Loffredo - 16 Marzo 2005 - 0:00
The Black Halo
Band: Kamelot
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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77

Il lento procedere della truppa degli orchi di Saruman che da tempo marcia nella luce e nel buio con andatura cadenzata ed inarrestabile fino alle porte della silenziosa e deserta gola del fosso di Helm echeggia rimbombando nelle calde Midlands dove gli impavidi superstiti della Compagnia dell’Anello ormai sfaldata e divisa dalle forze del male, attendono lo scontro fatale pronti a morire combattendo in nome del bene delle lande.
Nonostante March of Mephisto non abbia nulla a che fare con Lord of The Rings nelle liriche e nel video da poco terminato, nitida è nei miei occhi l’immagine degli orchi che sembrano segnare il passo col tempo dettato dal brano, ai piedi della fortezza disegnata dalla mente di J.R. Tolkien.
Il bene capeggiato dalla voce candida e sensuale del norvegese Khan contrasta valorosamente quella delegata dal male laddove, Shagrath (Dimmu Borgir), duella sferzando un growling rantolante e perfetto nel regalare ridondanza ad un brano che apre il nuovo corso di Thomas Youngblood e dei suoi Kamelot giunti al sontuoso traguardo del settimo studio album dal 1995 ad oggi.

La lotta tra bene e male che poco fa ho introdotto, era errata nella forma ma non nella sostanza in quanto Mr Johann Wolfgang von Ghoete è, da due dischi a questa parte, il principale ispiratore dei testi degli americani e, tanto per darvi un’idea il più possibile precisa, vado a riassumere in poche righe l’esperienza di questo straordinario scrittore che lo ha portato alla lunga gestazione del Faust, opera di grande valore contenutistico e di immenso valore letterario, riassunto utile per immergervi col “piede” giusto nell’ascolto di The Black Halo.

Letterato, filosofo, critico d’arte, scienziato e uomo politico, Goethe era considerato l’emblema del Neuhumanismus e per comprendere fino a qual punto le sue opere abbiano influito (e tutt’ora influiscono) sulla vita culturale della sua nazione, la Germania, basti pensare che l’epoca in cui visse è definita “Goethezeit”.
Il Faust è il suo scritto più famoso ed anche l’opera della sua vita; pensate, per esempio, che dai primi frammenti al termine della seconda parte della realizzazione, passarono all’incirca 60 anni (che comprendono primo e secondo Faust), tempo nel quale si sono susseguite varie versioni e lustri di interruzioni a causa di altri progetti intrapresi.
Faust è uno scienziato letteralmente insoddisfatto dei limiti del sapere umano e di conseguenza indignato in quanto realizza di essere soltanto un uomo carico di limiti che, di conseguenza, viene tentato dal demonio Mefistofele, al quale vende l’anima in cambio della giovinezza eterna, potere inaudito e sapienza illuminante.
La sua influenza assume le coordinate caratteriali del demonio e Faust inizia ad esercitarla per farla prevalere presso le corti principesche del mondo e per portare alla follia ed alla morte Margherita.
Dio salva definitivamente l’anima di Faust (che rappresenta la debolezza e l’insofferenza dell’umanità) in quanto la sua divina pietà riconosce il desiderio di bene che è stato all’origine di tanto peccare.
Il messaggio di Goethe è dunque chiaro: il provare a superare i limiti della conoscenza umana è il più nobile delle aspirazioni dell’uomo; Thomas Youngblood prova a guardare quanto descritto da nuovi punti di vista riproponendo il proprio pensiero mischiato e rapportato ad esperienze e fatti personali.

The Black Halo è, agli effetti, il naturale seguito di Epica pertanto, non aspettatevi un secco ritorno alle origini, il livello musicale raggiunto è quantomai teatrale ed operistico; il power metal proposto è sofisticato all’inverosimile tanto che nei primissimi ascolti anche un fine apparato uditivo riuscirà a scorgere soltanto una bassa percentuale di finezze sonore ad esso implementate.
L’esperienza di Miro e Sascha Paeth risalta e spicca sulla produzione dei 14 brani che lo compongono coadiuvato dalla presenza del già citato Shagrath, dai musicisti Jens Johansson (Stratovarius), Simons (Epica), Mari (Masqueraid) e dal coro che annovera tra gli altri Herbie Langhans (7th Avenue), Amanda Somerville (Aina), Miro, Gerit Gobel, Thomas Rettke (Heaven’s Gate) ed Elisabeth Kjaernes.

La scarsa immediatezza che contrassegna l’intero episodio musicale non lascia il segno sulle prime quattro tracce che equivalgono a quattro capolavori e, dopo l’anthemica March of Mephisto, la prepotente When the Lights Are Down e l’inebriante The Haunting, spicca Soul Society ed il suo coro celestiale dal quale splende raggiante l’incantevole voce di Khan che a mio avviso supera se stesso e regala alla sua band la prova fino ad oggi meglio riuscita. Superlativo il break orientaleggiante che non fa altro che aumentare la percentuale di raffinatezza del brano.
Il disco scorre piacevolmente grazie anche alla perfetta pulizia dei suoni contemplata in fase di produzione anche se le successive Abandoned, This Pain e Moonlight non trovano il giusto compromesso compositivo che consenta loro di planare agevolmente, presentando arrangiamenti che esulano dallo spessore sonoro al quale la band ci ha abituati.
Mi permetto di citare la prova di Cinzia Rizzo che con stile cabarettistico dona all’interludio Un assassinio molto silenzioso un tocco di classe adatto ad aprire per la title track, 3 minuti e 43 secondi dove Casey Grillo (batterista) dimostra classe nel districarsi tra le note contrappuntate del suo spartito e dove l’atmosfera generale si mostra intensa ed epica come negli scorci iniziali.
Memento Mori è la suite creata su misura e su richiesta dell’ugola di Khan che, tra momenti melodrammatici e non, si incunea sinuosamente tra gli stilemi tipici di questi articolati brani.

The Black Halo alterna momenti esaltanti ad altri molto meno ispirati e coinvolgenti fermo restando che un platter di questa portata è di livello abbondantemente superiore a qualsiasi recente uscita concernente lo stesso genere.
Mi aspettavo il salto definitivo di qualità che permettesse ai Kamelot di raggiungere i livelli attesi da oltre dieci anni ed in parte ci sono riusciti trovando finalmente il filone personale e caratteristico che, deve sicuramente essere perfezionato e minuziosamente coltivato affinchè se ne possa trarre un frutto maturo al punto giusto.
Ho volutamente cercato di non paragonare il nuovo nato con gli album precedenti fatto sta che, Karma e The Fourth Legacy, dimostrano tutt’oggi di avere quel passo in più nel rappresentare la band migliore di sempre ma, sono sicuro che, a breve la band americana detronizzerà in un sol colpo tutto ciò che fino ad oggi ha prodotto; o almeno, questa è la mia grossa speranza ed il mio augurio.

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:
01.March of Mephisto
02.When the lights are Down
03.The Haunting (Somewere in time)
04.Soul Society
05.Interlude 1: The Gratia
06.Abandoned
07.This Pain
08.Moonlight
09.Interlude 2: Un assassinio molto silenzioso
10.The Black Halo
11.Nothing Ever Dies
12.Memento Mori
13.Interlude 3: Midnight-Twelve tolls for a new Day
14.Serenade

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