Recensione: The Black House

Di EmanuelePalmas - 27 Giugno 2004 - 0:00
The Black House
Band: Krieg
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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80

Probabilmente il più bel lavoro che abbia sentito quest’anno.
Il quartetto viene dagli States e giunge in Italia tramite la RedStream records.
La copertina è un programma e rispecchia efficacemente quello che vuole essere il lavoro della band.
Infatti essa rappresenta il perfetto circuito mentale nel quale vivere al meglio “The Black House”.
L’album è il viaggio attraverso l’onirica realtà che permea i testi del gruppo.
Un percorso che si sviscera attraverso atmosfere malate, traumatizzanti e oscure,avvolgenti e soffocanti di puro e primitivo black metal.
Il prodotto dei Krieg mi ha colto di sorpresa. Non mi sarei mai aspettato tanto. Complice anche il fatto che il lavoro è passato un po’ in sordina.
Eppure questo album merita tanto e dà tanto, soprattutto in ossequio alla scena black odierna.
Non siamo di fronte infatti al solito gruppo che rischia di cadere nel consueto circolo vizioso del paradigma true-black.
Siamo dinanzi a una formazione che ha innovazione e sound da vendere.
Oltre a ciò credo che salti all’occhio immediatamente: per fare del buon black non bisogna necessariamente più essere europei .
Lo fanno vedere audacemente i Krieg.
E ancora, abbiamo la dimostrazione che si può essere innovativi, continuando comunque a proporre e a tenere alto il nero stendardo per antonomasia.
La dimostrazione che ci sono gruppi che urlano a testa alta che il black non è mai morto e non è necessariamente il solito statico comporre.
Ho a casa la prova ,è incisa su compact-disc e si chiama Krieg.
Il sound è inconfondibile. Imperial alla voce ci dona puri istanti di delirio schizofrenico, immergendoci nelle sue visioni allucinanti, nei suoi incubi, nelle sue fobie.
Notevoli risultano gli intrecci tra vari tipi di growl. Si passa così da urla tipiche del black ad altre meno convenzionali per questo genere, molto atmosferiche e soprattutto alquanto innovative.
“The Black House” è il catalizzatore, la medicina, la corretta terapia all’ esorcizzazione dei propri demoni. Un disco che non è solo musica ma anche una serie di messaggi, di concetti che vengono chiaramente sbattuti nell’artwork.
Quello che spiazza scostandosi un po’ dai lavori passati della band è che i toni che inneggiavano da sempre i concetti di “depopolazione” e misantropia, di  lotta contro la commercializzazione del black e che caldeggiavano la sua eterna professione di fede, vengono smussati per dar voce alla dimensione del viaggio onirico.
Un’attraversata per la quale regna sovrana  un’aura marcia e ammorbante destinata a inabissarci in un perpetuo sogno.
Un sogno continuamente battuto dalla cassa feroce di Thron e dall’incursione sonora del basso di Daemon.
Incredibili le composizioni che si scoprono mai banali e sempre variegate. Un inappuntabile disco di atmosfera true black, non c’è che dire.
I brani più belli e rappresentativi possono essere considerati “Fallen Princes of Sightless Visions”, “Ruin Under a Burning Sky” e “A process of dying”.
Album d ‘obbligo per gli amanti dei DarkThrone , Judas Iscariot o degli Eternal Majesty.
Da segnalare la fantastica quanto mai psichedelica “Venus in Furs”,cover dei Velvet Underground che vede l’utilizzo della viola da parte del chitarrista Phaedrus.

Tracklist :

01. Deconstructing the Eternal Tombs
02. Deviant
03. Nemesis
04. Meshprison Monolith
05. Fallen Princes of Sightless Visions..
06. A process of Dying
07. Sickening Voices without Speech
08. Ruin Under a Burning Sky
09. …without Light
10. Murder without the burden of Coscience
11. Venus in Furus*
12. Rooms

(*cover -Velvet Underground)

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