Recensione: The Call of the Void

Di Daniele D'Adamo - 16 Agosto 2019 - 0:00
The Call of the Void
Band: Anticosm
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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80

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Terza prova in studio per gli statunitensi Anticosm, nati nel 2003 a Howell, che hanno infilato nel loro carniere solamente tre album: “Against the Cosmos” (2009), “Anticosm” (2015) e, appunto “The Call of the Void”. Fatto dovuto principalmente ai numerosi cambi di line-up, che hanno minato la stabilità necessaria per poter realizzare da capo a fine un full-length.

Line-up che ha ruotato attorno al nucleo formato dai tre membri fondatori Kirill Kovalevsky (voce), Mark Siedlecki II (chitarra) e Beheader (batteria). Ora accompagnati da Keith Romanski (chitarra) e Tom Wilson (basso).

‘Viral’, e si parte a razzo con uno stile sorprendentemente personale, frutto di una sapiente miscela di heavy e black metal, con venature di thrash e death metal. Attenzione, l’unione di tali genere non genera confusione alcuna ma, anzi, contribuisce a dar vita a una foggia musicale spiccatamente personale, quasi unica – addirittura – che svela un talento inaspettato volto a disegnare un marchio di fabbrica con la precisione di un software di disegno tecnico. Insomma, basta prendere a caso un qualsiasi brano di “The Call of the Void” che, subito, viene da dire o meglio pensare: «Ehi, ma questi sono gli Anticosm!». In un periodo di grande inflazione… metallica, questo è un pregio raro che denota, inevitabilmente, un a buone dose di idee e di trovate originali, alla base.

Non a caso, tutte le tracce sono facilmente riconoscibili le une dalle altre, ciascuna obbediente allo stile-Anticosm, alla fine riconducibile al black metal, ma ognuna dotata di una propria vita, di una propria personalità. Tant’è che, solo dopo pochi ascolti, rimangono in testa i passaggi più melodici poiché, anche, il quintetto del New Jersey si trova a proprio agio con le armonizzazioni orecchiabili (‘Somewhere Between Life and Death’). Il tutto, frutto di una formazione che ha alle spalle un retroterra culturale esteso e profondo, che forma la struttura di base di un sound squisitamente vintage, seppur calibrato con tutto ciò che riguarda la seconda decade del terzo millennio.

Bravissimi i singoli musicisti, a partire dall’ugola roca e scabra di Kovalevsky, orientata verso il black, molto efficace senza esagerare con screaming, growling e compagnia cantante. L’approccio, difatti, è quello classico, degli anni ’80, ove il vocalist… cantava davvero, scandendo per bene le parole sì che fossero perfettamente intelligibili. Spettacolare il lavoro svolto dalla coppia di chitarristi, capaci di districarsi molto bene dal ginepraio di riff che riescono a infilare nelle song. Riff su riff, che poi sono i veri artefici di quel sound d’annata più su menzionato. Riff che restano impressi nella mente talmente sono efficaci e ben riusciti. Ottimi i soli, in taluni casi, come nella title-track o in ‘Fall Asleep’, addirittura da eccellenza assoluta. A mò di guitar hero, come si diceva una volta, prima che sopraggiungesse l’orrido – a parere di chi scrive –  termine shredder. Il bombardamento a tappeto eseguito dal basso di Wilson, suonato ovviamente con le dita, funge da rinforzo all’impatto sonoro generato dagli altri strumenti, voce compresa, donando al sound, inoltre, quella ineguagliabile sensazione di dinamismo à la Steve Harris. Moderno il drumming di Beheader, non particolarmente complicato ma vario, in parecchi casi vero missile che supera la barriera dei blast-beats (‘Someone Must Suffer’).

Esattamente come in molti, troppi dischi il punto debole si individua nella bontà dei brani, in “The Call of the Void” accade il contrario, con il sound a supporto e servizio del songwriting dei singoli episodi, tutti dotati di elementi interessanti, atti a far sì che, anzitutto, il full-length stesso sia, in primis, un contenitore di buone canzoni.

Sorpresa clamorosamente inaspettata, quella degli Anticosm e del loro “The Call of the Void”, che mostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che per vincere occorre elaborare uno stile adulto e personale, da accostare a un chiaro e imprescindibile talento compositivo.

Consigliato!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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