Recensione: The Call Of The Wretched Sea

Di Stefano Risso - 18 Aprile 2007 - 0:00
The Call Of The Wretched Sea
Band: Ahab
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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85

“The odyssey of the ship Pequod and its captain, Ahab, is a well worn tale
of bad omens and obsession.”

E’ impossibile parlare di The Call of the Wretched Sea senza
fare riferimento al concept che si cela dietro a queste note, difficile non
cogliere il continuo parallelismo tra musica e testo che ci guida nella
comprensione di questo lavoro. Proprio per questo motivo, il breve estratto dal
prologo (presente nel booklet) in testa alla recensione è forse più importante
di tutte le parole che seguiranno, racchiudendo al meglio lo spirito che ha
guidato gli Ahab in questo magnifico debutto discografico. Il riferimento
letterario mi pare ovvio a questo punto, stiamo parlando del celeberrimo romanzo
di Herman Melville, Moby Dick. Un riferimento che va ben oltre la
copertina, ma che è insito nella musica del terzetto tedesco, una specie di
guida che anima le composizioni, un tessuto su cui costruire la propria colonna
sonora, dando vita a quello che la band chiama Nautik Funeral Doom.

Quella che potrebbe sembrare una trovata bizzarra da parte della band per
ritagliarsi un piccolo spazio nella scena funeral, è in realtà la vera chiave di
volta attorno a cui si sviluppa The Call of the Wretched Sea.
Ascoltando, ma soprattutto vivendo il lavoro, ci si accorge che quel “nautik”
non è affatto fuori luogo, in quanto, come gia accennato, la simbiosi tra
liriche e musica che gli Ahab hanno raggiunto è totale, indissolubile, un
binomio di fattori che traggono forza l’uno dall’altro, giustificando pienamente
questa nuova “catalogazione”.

“None of the sailors realize the danger they are in until they are at
sea…”

Potremmo descrivere le canzoni di questo album come dei veri e propri
capitoli, che scandiscono il tormento e la fermezza del capitano Ahab, il
giuramento dei suoi marinai ottenebrati dall’alcool, la ricerca del famigerato
cetaceo per i mari, la scoperta, e la lotta tumultuosa. Il tutto condotto
secondo i dettami del funeral doom più opprimente e desolante, padroneggiato dai
nostri con cura, facendo affiorare all’occasione le diverse sfaccettature
proprie di questa musica, all’apparenza così semplice, ma in verità
difficilissima da sviluppare, bisognosa di un sensibilità e di un’ispirazione
notevolissima. Elementi che fortunatamente gli Ahab possiedono
abbondantemente, esprimendo un songwriting accorto, dando il giusto spazio alle
melodie strazianti, ai riff ipnotici, agli ottimi arpeggi, senza appesantire
troppo i brani, scongiurando il rischio di soffocare e tediare l’ascoltatore.

Ahab:
“Look sharp, marines!”
“Dead whale or sunk boat!”
“Hunt him ‘til he spouts black blood”
“And rolls fin up!”

Grande attenzione è stata riposta dagli Ahab nel sottolineare alla
perfezione il significato delle lyrics, cucendovi addosso l’atmosfera più
appropriata. Infatti nelle battute iniziali di The Call of the Wretched
Sea
si apprezza principalmente il lato più epico del disco, partendo
dall’animo tormentato del capitano che si predispone alla battaglia con Below
The Sun
(“…Pull me, into deep, My body – drowned, But my hate is
immortal…”
), rivolgendosi accoratamente al teatro in cui si svolgerà il
tutto con The Pacific (“…Oh, ye great mysterious shepherd of waves,
Offer me your secrets, So he shall spout thick blood…”
). Fin quando
avviene il sospirato avvistamento, e la lotta contro il “mostro” si fa prossima,
una lotta che si eleva all’eterno conflitto tra l’uomo e Dio (“I am God’s
assassin”
), con i monumentali riff di Old Thunder. Brani che
trasmettono tutto il pathos di quei momenti, con slanci epici di rara bellezza,
evocati dalle sei corde di Daniel Droste e Chris Hector, con
chitarre angoscianti, pregevoli arpeggi e lead guitars ispiratissime.

Death to Moby Dick
god hunt us all,if we do not hunt Moby Dick to
his Death !

Dopo una breve pausa, con l’intermezzo Of The Monstrous Pictures Of Whales,
si cambia registro. Gli Ahab abbandonano l’epicità della prima parte per
lasciare posto alla desolazione pura, inasprendo la potenza delle ritmiche, con
il growl catacombale di Daniel Droste sempre più protagonista delle
composizioni. Le litanie dei primi brani scompaiono del tutto, facendo affiorare
solo la durezza delle distorsioni. Del resto con The Sermon si arriva
alle fasi più aspre del lavoro, con Ahab e Moby Dick a
fronteggiarsi con violenza (“…I saw the opening maw of hell, With endless
pains and sorrows there…”
), in cui è stato omaggiato il famoso film che ha
visto protagonista un grande Gregory Peck. Ma non è finita qui, perchè
The Hunt
non dà tregua, in cui i cori iniziali si trasformano
progressivamente in urla raggelanti, raccontando con desolazione il fulcro
dell’opera (“…Screams from the lookout: Whale ahead! I want this whale, I
want it dead!…”
), chiudendo con la tragica Ahab’s Oath, le
avventure narrate sin qui.

Un disco vibrante, monumentale, ipnotico, affascinante, che sa esprimere
malinconia e male di vivere. Quella che poteva sembrare una soluzione
leggermente fuori luogo da parte della band, la scelta di un tema inusuale per
il funeral, è stata trattata con maestria, riuscendo a conferire alla musica
diversi toni, senza perdere mai in intensità. The Call of the Wretched Sea
è un disco che vale la pena di ascoltare, e a cui bisogna dedicare tutto il
tempo necessario. Non è un album semplice, ma una volta entrati nel mondo degli
Ahab, è davvero difficile uscirne.

Stefano Risso

Tracklist:

  1. Below The Sun
  2. The Pacific
  3. Old Thunder
  4. Of The Monstrous Pictures Of Whales
  5. The Sermon
  6. The Hunt
  7. Ahab’s Oath

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