Recensione: The Calm Hunter

Di Nadia Giordano - 26 Febbraio 2015 - 21:47
The Calm Hunter
Band: Isole
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Che la Svezia sia la culla del doom per eccellenza è ormai una cosa più che scontata, un esempio su tutti sono i Candlemass. E proprio da questa band gli Isole attingono l’ispirazione per la composizione dei loro album. Il platter che ho tra le mani “The Calm Hunter” è uscito nel 2014 per Cyclone Empire, dopo quasi tre anni dall’ultimo “Born from Shadows” e dal predecessore “Silent Ruins” uscito nel 2009. 

Il motivo è pressoché comprensibile, questo album è molto introspettivo, cupo, a tratti riflessivo ed intimo e denota una maturità artistica che gli Isole hanno raggiunto con il passare degli anni, dal lontano 1991 con il nome di Forlorn, fino ad oggi. 

Sebbene le caratteristiche prima descritte fossero già presenti in “Silent Ruins”, ma non predominanti, in questo disco vengono rese molto più presenti, marcate, ridondanti e cadenzate, come se l’ascoltatore dovesse essere catapultato in una sorta di limbo onirico . 

Tutti questi aspetti vengono ampiamente analizzati ed approfonditi dal singer Daniel Bryntse, la cui voce, pulita, molto lineare e controllata, viene a tratti spezzata ed interrotta dal growl, ampiamente utilizzato nel death, che ci riporta in uno stato vigile ed attento e che vuole sottolineare la parte drammatica del brano,  per poi ritornare nuovamente nell’etere delle note, in una lugubre malinconia, fino a ricollegarci a quelle che sono le classiche sonorità doom.

Il platter è composto da sette tracce e tutte avanzano con un incedere lento, granitico e pesante.

La title-track “The Calm Hunter” parte subito con vocalizzi death e batteria serrata che si contrappongono al vibrato di Daniel. Predominante è il lento riff centrale di chitarra che tesse continue note ricche di pathos.

La successiva “Dead To Me (The Destroyer Part I)” si apre con una nenia cantilenata, che lascia poi spazio ad un’inconsueta (almeno per come è stato concepito il disco) dose di fragore, come se ci si fosse risvegliati da questo limbo etereo.

Mentre ” Into Oblivion” e ” The Eye Of Light” rispecchiano i canoni tradizionali del doom classico, incipit tetro e cadenzato, chitarre quasi ossessive, claustrofobiche ed ansimanti, con ” The Perdition” i quattro virano, verso metà dell’opera, su un ritmo più sostenuto, tipico del viking, ovvero batteria sostenuta, cori e growl a fiumi, quasi portati all’estremo. 

Ma ci penserà “My Regret (The Destroyer II)”, a mio avviso la più bella di tutto il disco, a riportare il mood a quei chiaroscuri tipici di questo album. Infatti, in questa traccia, predomina la sensazione di abbandono e frustrazione. Il tutto viene concretizzato dalla voce malinconica e dolente, a tratti lacerata del vocalist che fa da tappeto a chitarre profonde e cupe.

Per quanto riguarda il lato più tecnico, la produzione di “The Calm Hunter” è stata affidata a Jens Borgen ed a Jonas Lindström (batterista degli Isole). L’equilibrio globale è buono, anche se in alcune tracce, ne è un esempio la stessa title-track, la voce viene lasciata un po’ in secondo piano, probabilmente per dare più spazio agli altri strumenti. 

Nel complesso l’ascolto risulta essere molto gradevole e mai stucchevole.

Un’altra nota di apprezzamento va al bellissimo artwork, opera di Travis Smith (Anathema, Paradise Lost, Opeth), che ricorda molto i quadri di Moreau e del periodo decadentista. Qualsiasi elemento di questa copertina richiama quell’epoca, dall”immagine della donna che incarna l’essenza della morte (in riferimento alla mano scheletrica appoggiata sulla spalla del bambino in primo piano), alla tela sbiadita, logora e consunta che viene attraversata, per l’intera larghezza, da un profondo squarcio.

Tutto in questo disco non viene mai lasciato al caso ed alla frenesia, le sei corde non sono mai impulsive e predominanti, i riff sono sempre controllati, analogo discorso per le pelli, mai irruenti od impetuose.

Caposaldo di tutto il disco è l’essenza nordica nella sua forma più pura ed incontaminata, un’idea di abbandono, solitudine ed introspezione che si ritrova solo ai piedi di un paesaggio ghiacciato, al calar della sera, sotto l’egida onnipotente dell’aurora boreale.

“The Calm Hunter” si rivela un platter estremamente interessante, anche per chi non è molto avvezzo alle sonorità doom, molto introspettivo, appassionato e maturo. Certamente non è un album facile, perché volente o nolente, per poter carpire appieno la bellezza dell’intera opera, si richiedono ripetuti ascolti, quindi se siete tra quelli del “ritornello facile ed orecchiabile” lasciate perdere, in caso contrario consiglio di approfondire meglio questa band e di non trascurarla per lasciar spazio ai grandi, soliti e rassicuranti nomi.

 

Nadia “Spugna” Giordano

 

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