Recensione: The Contaminated Void

Di Alberto Fittarelli - 9 Gennaio 2007 - 0:00
The Contaminated Void
Band: Coldworker
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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82

Che l’eredità dei Nasum fosse un fardello pesate da portare era
scontato: ma pochi avrebbero pensato che in così breve tempo un buon numero di
band avrebbe saputo evolvere quel sound che stava cercando nuove strade con
Shift, prima dell’improvvisa e tragica interruzione.

Logico immaginare che tra i gruppi a tentare questa strada, ed a portarla
avanti secondo la propria personalità, facessero capolino anche ex.membri di
quella band: se il chitarrista Urban Skytt ha scelto la via espressiva gore con
i Regurgitate, che solo in parte e meno ancora sull’ultimo album hanno assorbito
il sound apocalittico dei Nasum, restava l’incognita di Anders Jakobsson.
Il drummer e fondatore della band di Örebro aveva lasciato intendere che,
nonostante il grave colpo subito, avrebbe ripreso prima o poi a suonare, e così
ha fatto: inizialmente coi punkish (a dire il vero non memorabili) Krigshot, ora
con questi fenomenali Coldworker.

La definizione che la Relapse ne dà, grinding swedish metal, è
decisamente azzeccata, per una volta: il loro suono è infatti un impasto
difficilmente definibile solo come grindcore, ma che incorpora svariate
influenze, dal death al thrash, per finire in ambiti rock’n’roll (anche se si
trata più che altro di uno spirito di fondo che perma il tutto). Un po’ come i Totalt Jävla Mörker,
altra grandissima scoperta recente, sfuggono a qualsiasi etichetta, pur
collocandosi in quell’ambiente esasperato che ha nel grindcore di madre Napalm
Death e di mille padri punk/industrial il suo faro. A fare la differenza questa
volta c’è soprattutto la voce di Joel Fornbrant, con un passato nei
misconosciuti Phobos, dalla timbrica sorprendentemente death ‘old style’ (ma
anche vicina a Barney Greenway), il che sconvolge l’approccio grind del gruppo
ed è forse il suo maggiore punto di forza.

Ma si tratta anche di un’arma a doppio taglio, che ogni tanto andrebbe
perfezionata per raggiungere risultati più personali: anche se a quello pensa
già un ottimo riffing ed una varietà nelle strutture che li porta spesso e
volentieri in territori death (si diceva), con tanto di assoli persino vagamente
melodici (come in A Custom-made Hell), o che in Return To Ashes li
dipinge come band brutal, fedele ai dettami dei Morbid Angel più cadenzati, con
tanto di basso in bella evidenza.

Molta carne al fuoco, quindi, ma non idee dispersive: tutto gioca a favore
della costruzione di un disco sorprendente, d’impatto, divertente. Spunti ce
n’è a bizzeffe per le miriadi di followers, innamoriamoci intanto dell’ottimo
artwork (che parafrasa, tra gli altri, il classico Venerdì 13) e teniamo
questo CD vicino al lettore, ne vale la pena.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. The Interloper 02:39 
2. D.E.A.D. 02:18 
3. An Unforgiving Season 02:35 
4. The Contaminated Void 02:25 
5. Death Smiles At Me 02:15 
6. A Custom-made Hell 03:02 
7. Return to Ashes 04:18 
8. Strain at the Leash 02:44 
9. Flammable 01:59 
10. Antidote 02:29 
11. They Crawl Inside Me Uninvited 02:54 
12. Waiting for Buildings to Collapse 02:58 
13. Heart Shaped Violence 02:58 
14. Generations Decay 04:13

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