Recensione: The Curling Flame Of Blasphemy

Di Giuseppe Casafina - 16 Gennaio 2017 - 13:00
The Curling Flame Of Blasphemy
Band: Profanatica
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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60

Da sempre, ascoltare un album dei Profanatica equivale a slanciarsi in poderose evoluzioni linguistiche circa il vero significato della bestemmia: da sempre sostenitori di un suono puzzolente all’inverosimile, ben contornato da testi di una sboccataggine sfacciata con tanto di artwork e titoli che strabordano di sano umorismo offensivo di bassa lega, anche in questa occasione non si son certo risparmiati…basta anche solo vedere la copertina per accorgersene!

Gli extreme metallers statunitensi non tradiscono le aspettative e, grazie all’operato della sempre fulgida Hells Headbeangers rilasciano sul mercato il loro ultimo ‘Opus’ discografico: “The Curling Flame Of Blasphemy” è un disco dal piglio sicuro, morboso ed assassino che di sicuro non tradirà le aspettative di chi da sempre supporta la ormai storica formazione a stelle e strisce. Il tutto viene reso ancora più annichilente grazie ad una produzione appositamente studiata per stordire l’ascoltatore in quanto a potenza ed impatto, dove le sferzate di batteria suonano come coltelli ed il muro di chitarre avvolge il prossimo in una macabra, luciferina aura infernale.

Tutto è al posto giusto, forse anche troppo…ma in fondo con i Profanatica è da sempre un ‘prendere o lasciare’, perchè o si amano oppure si odiano, senza vie di mezzo. L’assalto iniziale, massacrante, di ‘Ordained in Bile’ è una vera e propria carneficina tra le rassicuranti e mielose lande del Paradiso, dove dopo un inizio tipicamente classico per il duo statunitense, verso il finale compare una melodia di stampo puramente black, dal piglio quasi malinconico, atta a descrivere chissà quale battaglia epica contro l’ennesimo stormo di Santi & Profeti di turno.

In successione, arriva ‘March to Golgotha’, il cui inizio procede bene con le chitarre sinistre atte ad introdurre l’ennesimo rituale di sodomia contro povere ed indifese creature angeliche, ed il tutto avviene il tutto in soli due minuti scarsi di durata, giusto il tempo per introdurre i tamburi martellanti di ‘Magic & Muhr’. Qui nell’introduzione i tempi rallentano, si fanno ancor più marci e sulfurei, avvicinandosi di molto alle atmosfere malsane dei loro connazionali Incantation, per poi prendere le tipiche derive dei classici brani in stile Profanatica. Per fortuna ci pensa ‘Black Hymna’ ad introdurre una sana, per quanto breve, sterzata verso lidi più vicini al doom più soffocante ed insano, mentre l’intro ‘slayeriano’ del pezzo in successione, ‘Host over Cup’, rivela una melodia inizialmente interessante per poi perdersi in territori maggiormente improntati verso il death metal, con un finale dal piglio decisamente epico che ben si adatta al mood ritualistico di un brano dall’andamento quasi inusuale.

Con ‘Rotten Scriptures’ comincia la seconda parte del disco, quella che a mio modesto parere è la più banale di tutto il platter, in grado di affossare come non mai quanto di buono (ovvero, poco) scritto con i precedenti brani: non si tratta di un brutto brano in quanto, sebbene i riff siano sempre i soliti e l’atmosfera pure, non basta una produzione devastante a mascherare la totale mancanza di idee, per un brano non certo noioso ma sicuramente piatto, il tipico riempitivo insomma.

Dietro tali non certo esaltanti premesse ‘Yahweh Rejected’ si rivela ben più interessante con il suo andamento più cadenzato, condito dalle ormai solite accellerazioni improvvise di stampo death/black. ‘Bleed Heavenly Kingdom’ in tal senso si rivela quasi una sorpresa perchè, escludendo la sua parte iniziale infarcita degli ormai scontati binari (i soliti riff, il solito tempo di batteria), il resto si rivela un azzeccato discendere verso le fiamme degli inferi, con tempi ed atmosfere estremamente cadenzate, sospese, dove quasi ti sembra di percepire il sangue che gronda da quel che rimane delle mura del Paradiso. La finale ‘Curling Flame’ (assieme alla precedente ‘Vile Blessing’, breve introduzione di mezzo minuto al brano in oggetto) è una vera e propria suite di quasi sette minuti tra rallentamenti, accellerazioni, sfumature epiche e malinconiche…nulla che non fosse già stato detto in precedenza sia chiaro, ma in questa veste ‘conclusiva’ il tutto viene amalgamato in maniera più efficiente e celebrativa, come un vero e proprio Sabba Cerimoniale.

Arrivando alla fine, appare chiaro che questo “The Curling Flame Of Blasphemy” non è di certo il miglior lavoro degli statunitensi: la prima metà del disco appare più ispirata della seconda e per di più anche i brani migliori del lotto, tolte rare eccezioni, non colpiscono mai troppo a fondo in quanto manca l’adrenalina a dosi spinte, quel pizzico aggiunto di ferocia demoniaca, quella morbosità malsana in più che avrebbe reso tali episodi ancora più interessanti e dritti al punto, tutte caratteristiche che rendevano il precedente “Thy Kingdom Cum” (un capolavoro mancato secondo il sottoscritto) così lacerante e perverso.

Insomma, pur non essendo una delusione totale, il lavoro non è nemmeno da buttare pertanto il voto non può che essere una scolastica sufficienza e il che rende questo ultimo lavoro un disco apprezzabile in pieno solo dai fan sfegatati del combo americano, mentre per tutti gli altri sarà solo un boccone difficile da digerire.

In fondo uno scivolone capita a tutti.

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