Recensione: The Dead Of The World

Di Daniele D'Adamo - 28 Dicembre 2014 - 1:07
The Dead Of The World
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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82

Altra uscita di gran livello, nel 2014 teutonico. Dopo “Venereal Dawn” dei Dark Fortress, è il turno degli Ascension e del loro “The Dead Of The World”. I quali, nati nel 2007, dopo una partenza discografica più che dignitosa (“With Burning Tongues”, demo, 2009; “Fire And Faith”, EP, 2010; “Consolamentum”, full-length, 2010), sono spariti dalla circolazione per emergere quest’anno dalle profondità degli abissi di ossidiana prima con l’EP “Deathless Light” e poi, finalmente, con il predetto “The Dead Of The World”. 

Gli Ascension, al pari dei summenzionati colleghi, mostrano una maturità di componimento impressionante. Qualità che li pone in grado di creare musica dalla visionarietà assoluta, seppur priva di particolari elementi di originalità. Riuscire a pennellare gli scoscesi pendii di orridi, oscuri burroni con la sola forza del black ortodosso è senz’altro cosa da pochi. Anzi, da pochissimi. A imbastire le tetre strutture dalle geometrie non-euclidee che sorgono sugli altopiani della follia non sono quindi né orchestrazioni, né ambient. È solo e soltanto la genialità di riff monumentali, assemblati sì da dar luogo a costruzioni dalle dimensioni sterminate. Che non hanno inizio, che non hanno fine nel loro angoscioso sviluppo nelle tre dimensioni dell’àere. Sconfinando, per ciò, a volte, nel doom.

Doom che s’insinua nelle viscere della Terra sino ad avvolgerne il centro. Doom pesante, massiccio eppure sciolto. Doom da asfissia, che – come nella suite “Death’s Golden Temple” – improvvisamente, trasfigura le proprie sembianze nel black classico, quello stravolto dalle ondate successive dei blast-beats, quello straziato dai terremoti del basso. Senza tuttavia esagerare in nulla, obbedendo fedelmente ai dettami enciclopedici del genere aggiungendo alla base solo un pizzico di melodia in più. Grazie, soprattutto, alla superba ugola del vocalist, roca al punto giusto, capace di interpretare le linee vocali con furia, determinazione e aggressività.  

Ma è nuovamente sulle chitarre che occorre porre la massima attenzione. Sul loro riffing, caleidoscopico per varietà ma contemporaneamente granitico per via di un’unitarietà d’intenti che richiama la menzionata abilità dell’ensemble di Tornau vor der Heide nel vergare le canzoni. Chitarre in grado di insinuarsi come cunei, a fondo, nella carne, quando i ritmi sono bassi; in grado di devastare tutto e tutti quando la velocità diverge (“Black Ember”), lacerando l’atmosfera con soli tagliati utilizzando il rasoio.   

La formazione tedesca, insomma, dimostra di essere perfettamente a proprio agio in ogni occasione. Anche quando l’incommensurabile maestosità nera degli onirici paesaggi da essa elaborata viene sottolineata da azzeccatissimi inserti di tastiere dalla provenienza indiscutibilmente aliena (“Unlocking Tiamat”). Anche quando si conclama lo sfascio assoluto (“Deathless Light”), mirabile incarnazione del caos strisciante sotto forma di regola e ordine. Spettacolare discrasia di cui “The Dark Tomb Shines” ne è un esempio perfetto. Fra cori stentorei, scudisciate di blast-beats, scintille di chitarra.

Eccezionale figura antitetica la cui forza antigravitazionale è sopportabile soltanto dai musicisti più abili e dotati di classe. Un talento che non può mancare, per rendere vivi brani dalla lunghezza che si spinge ben oltre la media, toccando e superando la soglia dei dieci minuti con la sepolcrale “Mortui Mundi”. Suite che, di nuovo, ma senza annoiare, propone la successione di movimenti lenti e pesanti a furibonde e brutali accelerazioni, quasi a rappresentare il lento risalire dalle caverne infernali e la successiva fuga nella gelida notte che rabbuia la tundra.         

Pur non potendosi definire un capolavoro, “The Dead Of The World” si propone come uno dei più riusciti album di black metal del 2014. Sia per la purezza dell’interpretazione dello stile medesimo, sia per l’enorme ampiezza compositiva delle varie song, sia per uno spirito che, malgrado passino gli anni, non appare mai tramontare. Quello degli Ascension, in questo caso.

Daniele “dani66” D’Adamo

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