Recensione: The Doomsday Kingdom

Di Andrea Poletti - 17 Aprile 2017 - 10:19
The Doomsday Kingdom
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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82

Nella sua grandezza il genio disdegna le strade battute e cerca regioni ancora inesplorate.

Abraham Lincoln

Quando sei un genio, lo rimani per sempre a dispetto di ogni ostacolo ti si prospetti di fronte. Leif Edling alla soglia dei cinquantaquattro anni riesce ancora a sorprendere, con qualità e creatività, attraverso una nuova realtà che prende, esplora ed espande tutto il mondo dei suoi Candlemass. The Doomsday Kingdom, oltre ad essere il nome della band e il titolo del disco omonimo, è sopratutto la testimonianza che oggi ancora si riesce a creare musica di qualità e classe senza grandi esperimenti e pantomime. Una velata di heavy che ricorda molto sia Mercyful Fate che Judas Priest si incanala dentro le strutture dei Candlemass dell’epoca più giovanile, una via completamente nuova di ridisegnare il canovaccio che in molti conoscevamo a memoria, grazie anche ad una line-up di altissimo livello. Wolf, Avatarium, Royal Hunt, e i già citati Padrini del Doom si uniscono per dare forma ad un disco che nel 2017 ci lascia sognare e navigare in un mare di ricordi. Un ritorno al futuro in salsa heavy-doom che dalle premesse non portava a così alte speranze, anzi un dubbio martellava fisso nella testa dei fan più accaniti, ma la realtà oggi è finalmente di fronte a noi. “ The Doomsday Kingdom” è un album con tutte le carte in regola per essere all’interno di molteplici top-ten a conclusione del 2017, provare per credere.

Viene difficile e praticamente assurdo riuscire a trovare dei difetti all’interno di questo disco che vive di otto episodi, compreso lo strumentale in acustico, che hanno il dono di avere un personalità e una unicità al loro interno che li rende distinguibili sin dal primo ascolto. Due gli episodi dal precedente EP che aveva mostrato alcune carte ma tutte, oggi il tavolo da gioco è colmo di ogni figura e seme, non rimane altro che scoprirle tutte.

Otto i brani presenti dicevamo, ognuno con una sua originalità e caratteristica peculiare, essere estremamente curati all’interno di un involucro di cristallina semplicità. Dettagli, stacchi che si districano lungo i momenti della corsa, sulla quale la scelta delle linee melodiche è paurosa, azzecatissima. Verve e carattere da vendere. L’inizio è affidato a “Silent Kingdom” che prende molto dai Candlemass del periodo “Nightfall”, aggiungendo una tonalità molto NWOBHM per confondere le carte in tavola. I suoni certamente non sono gravi e pesanti come nel classico doom, ma il bilanciamento tra produzione e ritmiche suonate porta al suo interno una alchimia particolare, al limite del paradosso. Andando avanti “Silent Kingdom”, “The Sceptre” e “The Silence” rendo omaggio ai primi Black Sabbath, iniettandoci il tocco del prog minimale a-là Fates Warning. Pare assurdo ma se “Parallels” fosse stato scritto in chiave più occulta e introspettiva qualcosa di di simile sarebbe potuto nascere. Certamente potrebbe sembrare un parere a tratti estremo, ma l’idea che ci si fa lungo l’ascolto, giorno dopo giorno, è quello di aver cercato da parte di Leif una chiave di lettura, completamente nuova e rivisitata, del suo stile musicale. La voglia di svecchiare e rivitalizzare il proprio modello compositivo. Negli altri brani quali “Never Machine”, “Hand of Hell” e “The God Particle” le variazioni su tematiche leggermente più cupe e lente, ci fanno fare untuffo di molte decadi, grazie a richiami di grandi hit nate e scritte del fiore degli anni 80. Un contrasto agrodolce, per lasciare scorrere le catene che in passato avevano legato alcuni episodi della band principe. In ultimo ci sono gli assoli semplici ma incisivi da parte di Marcus Jidell, che già sugli Avatarium aveva fatto una ottima prestazione. Leif ha scelto una line-up coi fiocchi e questo bisogna dargliene atto, un gruppo che insieme non poteva che non rilasciare la massima energia attraverso la massima combustione delle parti.

I The Doomsday Kingdom sono una band al loro primo capitolo, con alle spalle una esperienza ultra decennale e delle qualità invidiabili a moltissime band. Questo album ci conferma come per sorprendere e far emozionare non serve molto oggi, quando e se hai il tocco del campione. Una scelta accurata e studiata minuziosamente ci regala un disco di altissima fattura, da ascoltare giorno dopo giorno, con orecchie sempre nuove per lasciarsi trasportare. Magnificamente geniale.

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