Recensione: The Duke

Di Fabio Vellata - 28 Aprile 2006 - 0:00
The Duke
Band: Jorn
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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84

Per il sottoscritto un album con il grandissimo Jorn alla voce è da sempre un evento di quelli che possono caratterizzare una intera stagione; la bravura del lungocrinito norvegese è, a parere di chi scrive, tale da porlo nella ristrettissima cerchia degli eletti, ovvero quel gruppetto esiguo e selezionatissimo di singers in grado di rappresentare, semplicemente con la propria presenza e capacità interpretativa, un valore aggiunto a qualsivoglia composizione che così diviene automaticamente meritevole e degna di ascolto attentissimo.

Noto per essere un autentico stakanovista delle corde vocali, il mito Lande è solito allietarci con cadenza regolare tramite prodotti della più svariata natura ed estrazione: dall’hard rock più selvaggio e grintoso delle sue produzioni soliste, alla magniloquenza stupendamente power degli irraggiungibili Masterplan (la band su cui punterei ad occhi chiusi per il futuro) e del convincente progetto in “condominio” con mister Russell Allen, per non dimenticare poi quanto proposto in passato con gli immensi ARK (ogni parola diversa da “Maestri” è sprecata), e le estemporanee partecipazioni ai lavori di entità a volte molto diverse tra loro come i rockers Millenium, Vagabond, e The Snakes (la copia perfetta del “serpente bianco”), i grandi kolossal di Nikolo Kotzev con i suoi Nostradamus e Brazen Abbott, per passare ai techno-prog Beyond Twilight (acquisto consigliatissimo peraltro…in questo cd Jorn è una vera furia!) ed ai sympho-blackster (!!!) Mundanus Imperium, a dichiarare, se mai ce ne fosse stato bisogno, una versatilità ed un talento impressionanti e fuori dalla norma.
Tre sono stati sino ad ora i lavori a marchio semplicemente JORN: il primo “Starfire”, datato 2000, il successivo, bellissimo “Worldchanger” del 2001 (dove spiccava la canzone con il miglior ritornello che abbia sentito da parecchio tempo a questa parte, la bellissima “Bridges Will Burn”) e l’ultimo “Out To Every Nation” edito nel 2004, a cui va ad aggiungersi ora la nuovissima, notevolissima fatica intitolata “The Duke”.
Quali le caratteristiche base di questo nuovo lavoro? Assolutamente, e ne siamo più che lieti, le solite di sempre: hard rock potentissimo e virile, tostissimo, ruvido, grintoso ed urgente, dotato, inutile sottolinearlo nuovamente, di una prestazione vocale che è in pratica il top assoluto della categoria, oltre ad un songwriting che si va facendo sempre più brillante e ben assestato, in grado di soddisfare senza nessuna riserva chiunque sia da sempre grande fan del rock duro ad altissimo voltaggio.
Il singolone “Stormcrow” da solo è in grado di spazzare via qualsiasi dubbio: le chitarre focosissime dei bravi Tore Moren e Jørn Viggo Lofstad schiacciano sull’acceleratore sin dal primo istante e supportano la calda e potente voce di Lande che, come da programma, fa letteralmente il bello ed il cattivo tempo dettando i tempi dell’assalto e sovrastando gli strumenti con piglio da dominatore; ottimo inoltre l’assolo centrale della coppia d’asce che incrementa ancora ad un livello superiore la bontà del pezzo. Centra il bersaglio in pieno anche l’ottima “End Of Time”, dove chitarre di nuovo ruvide e decise fungono da struttura portante e conducono al ritornello, pieno e corposissimo, che cattura immediatamente e fa tornare alla memoria quanto fatto anni addietro nel già citato “Worldchanger”; che dire poi dell’iniziale “We Brought The Angels Down” e della potente “Blacksong”? Sembra proprio che i volumi delle sei corde siano stati puntati al top e le svisate che ne derivano dall’amalgama di queste ultime con la buona sezione ritmica e la magnifica voce di Jorn possono realmente far traballare i muri…
La parte centrale del dischetto è riservata poi alla “grassissima” “Duke Of Love”, dove si percepiscono accenti affini al southern più alcoolico e rovente, arricchiti da una prova strumentale sempre all’altezza (un plauso alla band, sempre perfetta in ogni frangente) ed alla cadenzata “Burning Chains”: si materializza all’improvviso l’ombra di Coverdale, (del resto Jorn ne è una sorta di figlioccio…) in una interpretazione che non posso far altro che definire irraggiungibile per pathos e ricchezza…
Nella zona conclusiva del cd conosciamo infine le solide “After The Dying”, “Midnight Madness” (episodi forse un pò minori ma comunque tipici del Lande-style, fatto di potenza e melodia che sfociano in ritornelli del tutto godibili e di facile presa) e la ottantiana “Are You Ready”, scheggia di hard n’heavy “d’assalto” che richiama alla mente immagini da “chain n’leather” e che perfettamente potrebbe fungere da inno per una gang di bikers.
Chiude il disco magistralmente il rifacimento di “Starfire”, originariamente sul primo lavoro solista di Jorn intitolato allo stesso modo, qui resa con maggior raffinatezza ed arricchita per sublimarne le qualità già notevoli all’origine, che così divengono assolute ed inequivocabili.

Grande Jorn ancora una volta dunque, di nuovo sugli scudi con un prodotto di qualità indiscussa che i fan dell’hard rock di vecchia scuola ameranno senza nessuna riserva.
Il voto che vedete in calce a questa recensione è senza dubbio un po’ “partigiano”, molti di voi forse lo riterranno un po’ esagerato ma, pur confessandovi di essere dichiaratamente di parte pongo anche un interrogativo: quanti sono attualmente i cantanti in circolazione tanto dotati e versatili, in grado comunque di realizzare sempre prodotti godibilissimi ed accessibili a tutti?
Un riconoscimento alla bravura ed al talento, al di la della validità di un album comunque più che buono e sicuramente tra le cose migliori ascoltate in questo inizio 2006.

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