Recensione: The Eighth Mountain

Di Vladimir Sajin - 24 Febbraio 2019 - 23:55
The Eighth Mountain
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Bibbia, Genesi (6:1-8)
“Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli degli Dei videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi, e anche dopo, quando i figli degli Dei si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi, i Nephilim.”

Questo celebre passaggio tratto da uno dei libri più famosi dell’antichità come la Bibbia, ha dato il via ad uno dei dibattiti teologici, filosofici, scientifici e storici più importanti e controversi dell’intera umanità. Ed è lo stesso passaggio che ha ispirato il racconto della nuova saga dei Rhapsody of Fire intitolata ”Nephilim’s Empire Saga”. Come si può intuire, con ”The Eighth Mountain’‘ il mastermind del gruppo Alex Staropoli insieme a Roby de Micheli hanno deciso di prendere spunto da un concetto storico/teologico reale, arricchendolo con una propria narrazione originale e personale. Questi temi si prestano molto efficacemente allo  sviluppo di una nuova epica saga fantasy. Il racconto riprende le teorie elaborate da scienziati come Sitchin e Von Daniken, i quali sostengono che i Nephilim siano i nostri antenati, e che noi siamo stati creati attraverso l’ingegneria genetica da una razza aliena, che i sumeri chiamavano Annunaki, i quali successivamente sono divenuti Dei nelle varie religioni. Nei voluminosi libri di Sitchin si impiega l’etimologia della lingua semitica e traduzione delle tavolette in scrittura cuneiforme dei Sumeri per identificare gli antichi Dei mesopotamici con gli angeli caduti o Nephilim, cioè “figli degli Elohim” nella Genesi. Altri scrittori italiani come Mauro Biglino sostengono queste teorie della genetica antica e del DNA combinato nei tempi molto remoti, tra il genoma degli Dei e quella degli indegni terrestri come Uomo Neanderthal, il che ha prodotto l’uomo Sapiens Sapiens di oggi. L’ottava montagna si riferisce al concetto espresso nel “Libro di Enoch” che fa riferimento a sette montagne che custodiscono i segreti dello spirito Divino, e che la ricerca dell’ottava montagna può portare alla scoperta della perduta essenza divina che viene custodita nell’Albero della Vita situato all’interno di quella mistica ottava montagna.

La nuova saga letteraria, così come i nuovi membri Giacomo Voli alla voce e Manuel Lotter alla batteria, insieme all’ormai affermato Alessandro Sala al basso, hanno decisamente contribuito a dare una nuova linfa vitale ad una band non più giovane che ha reso celebre in tutto il mondo il Symphonic Power Metal portandolo ad un livello indiscutibilmente più elevato, creando un netto passaggio nella storia della musica che ha sancito un prima ed un dopo il celebre ”Legendary Tales ” (1997). Questo nuovo vigore, insieme ad un ritrovato senso della melodia, sono elementi che si notano maggiormente già dai primi ascolti di questo ”The Eighth Mountain”. Soltanto riscoprendo il nostro passato, possiamo ambire ad un prosperoso futuro. Seguendo questo assioma, i Rhapsody of Fire hanno già affrontato il precedente album ”Into the Legend”. Con questo nuovo album, i Nostri tornano ancora più indietro nel tempo, alle loro origini. In questo modo, troviamo le stesse atmosfere, la stessa grinta e la stessa fantasia dei primi lavori, impreziositi dall’esperienza di Alex Staropoli e dalle intuizioni originali dei membri più giovani. Tra le novità del sound che guarda al passato, troviamo gli assoli alla tastiera con una vena progressive molto interessante e alcuni passaggi che sfiorano addirittura il melodic death, ben lontani dal pop al quale molte band di oggi sembrano ambire, cercando di suonare “nuove” a tutti i costi. Contrariamente, i Rhapsody of Fire tornano rocciosamente alle origini di quel genere musicale che hanno in un certo senso inventato.

Si comincia con un breve incipit intitolato ”Abyss Of Pain” che  introduce ”Seven Heroic Deeds” un brano che ha un tipico carattere d’apripista, che però, riesce a mettere in mostra moltissimi elementi del nuovo percorso della band: come la qualità e l’eterogeneità della voce di Giacomo Voli, le contaminazioni progressive, i cori in latino e sopratutto la ritrovata grinta degli album d’esordio. In ‘‘Master Of Peace” proseguiamo con lo stesso spirito ma con ancora più richiami ai primi album, sopratutto nella ricerca della melodia e nella coralità. ”Rain Of Fury” è decisamente il nuovo cavallo da battaglia della band. Un brano immediato e molto efficace, ha una melodia sorretta dalla magica tastiera di Alex Staropoli che richiama le sonorità folkloristiche, trasmettendo inoltre una carica che potrà essere valorizzata ulteriormente nelle sessione live. La successiva ”White Wizard’‘ abbassa un po’ i ritmi, presentandosi come un bellissimo tempo medio, sostenuto dalla presenza della Bulgarian National Symphony Orchestra di Sofia, con un risultato finale a dir poco maestoso ed epico. ‘‘Warrior Heart” è una classica ballad che ci riporta nelle antiche foreste degli unicorni. Un appuntamento incantevole e molto piacevole nella sua ingenua semplicità. ”The Courage To Forgive’‘ è un brano molto celebrativo, epico e possente, presenta un ritmo cadenzato ed un riff molto incisivo. Con ”March Against The Tyrant” ci troviamo al cospetto di un pezzo imponente nella sua grande teatralità, è un opera di quasi dieci minuti che alterna passaggi più lenti ed evocativi a delle sezioni più aggressive e imponenti. Straordinaria l’espressività e passione mostrata da Giacomo Voli al microfono. ”Clash Of Times” è probabilmente il brano più tradizionale dell’intero album, fa tornare in mente molti dei classici dell’era Rhapsody. Con ”The Legend Goes On” torniamo alla grinta e alla freschezza che caratterizza maggiormente quest’album, un brano pieno di inni e coralità che trasmettono molta energia e un rinnovato vigore. La seconda ballad ”The Wind The Rain And The Moon” è un passaggio molto poetico e sentimentale, accompagnato dall’orchestra e dalle soave note della sei corde di Roby de Micheli, è il punto più romantico e delicato dell’intero platter. Giungiamo alla fine del racconto con ”Tales Of A Hero’s Fate” l’immancabile e mastodontica suite finale. Un brano molto evocativo e variegato, che presenta addirittura alcuni passaggi cantati in growl stile Cradle of Filth dallo stesso poliedrico e polifunzionale Voli al microfono. Nella parte finale troviamo la voce narrante dell’immortale Christopher Lee: si tratta del ritrovamento e assemblaggio di alcuni registrazioni del passato, mai utilizzati prima d’ora. Questa toccante operazione di recupero riporta in vita una storica voce narrante, nonché uno degli interpreti più coinvolgenti e intensi mai apparsi in un progetto musicale. Il pathos che riesce a creare con la sua voce profonda e ancestrale è unico e inimitabile.

Inutile girarci intorno, i signori del symphonic metal sono tornati. I Rhapsody of Fire del 2019 sono una band ritrovata e piena di energia, che procede negli intenti post-split di riportare in auge un genere senza stravolgerne la struttura, tornando alle origini con i grandi cori ed i ritornelli tirati in doppia cassa che hanno segnato il decennio tra gli anni ’90 ed i primi 2000. Un po’ all’opposto di quanto promettono di fare Turilli e Lione con il nuovo lavoro che potremo valutare nei prossimi mesi. Come il nuovo eroe di questa inedita Saga alla ricerca dell’ottava montagna per ritrovare gli enigmi del passato e recuperare la sapienza degli antichi Dei, la band di Trieste ritrova la sua ottava montagna ispirandosi ai segreti dei padri fondatori che hanno dato origine a questo genere musicale, coadiuvati dalla destrezza dei giovani membri e quella magica aura che permeava i primi lavori targati semplicemente Rhapsody.

Vladimir Sajin

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