Recensione: The Enigma of Evil

Di Stefano Ricetti - 4 Agosto 2015 - 11:25
The Enigma of Evil
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
68

Peruviani, attivi dal 2008, gli El Hijo de la Aurora giungono al terzo full length della carriera tramite la gloriosa e stoica etichetta italiana Minotauro Records. The Enigma of Evil, questo il titolo del lavoro, segue Lemuria del 2008 e Wicca: Spells, Magic and Witchcraft Through the Ages del 2010. Anche in questo caso il combo di stanza a Lima evita di riportare, esattamente come fatto per i due dischi precedenti, il titolo all’interno della cover, marcando una scelta di campo che evidentemente avrà un perché, che al momento della recensione ci resta oscuro. Situazione comprensibilissima da parte di una band che come moniker ha fatto propria un verso del profeta Isaia contenuto all’interno della versione in latino della Bibbia:

Negli inferi è precipitato il tuo fasto,

la musica delle tue arpe;

sotto di te c’è uno strato di marciume,

tua coltre sono i vermi.

Come mai sei caduto dal cielo,

Lucifero, figlio dell’aurora?

Come mai sei stato messo a terra,

signore di popoli?

Eppure tu pensavi:

Salirò in cielo,

sulle stelle di Dio

innalzerò il trono,

dimorerò sul monte dell’assemblea,

nelle parti più remote del settentrione.

Salirò sulle regioni superiori delle nubi,

mi farò uguale all’Altissimo.

E invece sei stato precipitato negli inferi,

nelle profondità dell’abisso!

  

The Enigma of Evil è accompagnato da un libretto apribile di sei pagine su tre facciate, con tutti i testi sia in spagnolo che in inglese ma  nessuna foto della band. Dalle note si evince che I Figli dell’Aurora al momento sono quattro e dei fondatori in formazione rimane il solo batterista Joaquín Cuadra. Ad accompagnarlo in questo viaggio dalle tinte oscure vi sono Anthony (basso, chitarra, Tybetan Bowl e Throat Singing), Jorge Cortes alla voce e Miguel Angel Yance alle tastiere.   

Sette i pezzi per quarantatré minuti scarsi di durata, così come si era usi fare una volta, quando si incideva su ellepì e musicassetta. La lingua utilizzata dai Nostri è lo spagnolo, caratteristica che conferisce un certo fascino all’intero lavoro, che coraggiosamente rinuncia al livello di penetrazione metallico tipico dell’idioma britannico.                              

Musicalmente The Enigma of Evil si dimena su registri Doom iperclassici, secondo la lazione dei grandi vecchi degli anni Settanta. L’inizio della mattanza nera è altisonante: Fohat si dischiude in una marcia dannata verso le porte degli inferi, ove chitarre zanzarose si prendono in carico di creare l’atmosfera giusta. Attacco HM in Kýrie Eléison subitamente trasformato in un cadenzato insistito, con l’ascia di Anthony a mo’ di maglio a consegnare ai posteri un brano dal retrogusto epico grazie a cori gotici-medievali di sottofondo. Per lo scriba l’highlight di The Enigma of Evil.

L’humus polveroso  palesato con il primo pezzo fuoriesce prepotentemente nella lamentosa The Buddha from Mars, ancora attanagliata alla tradizione più cristallina del Doom… lentezza = bellezza? Intrigante l’orientaleggiante The Awakening of Kosmos, il pezzo più originale del lotto, capace di toccare corde antiche tanto care al Jim Morrison dei tempi d’oro. 

La strumentale Spirits of Will è preda dei miasmi cimiteriali che seppero sprigionare i Death SS degli inizi, fungendo da apripista al brano successivo, The Advent of Ahriman, una nenia dalle tinte nere lunga sette minuti e mezzo ove l’ossessività detta le regole di un viaggio senza ritorno nell’ignoto, non senza qualche vistoso calo.

Chiusura sulle note di Guard of the Two Thrones, altra mazzata di sette minuti e rotti ove la chitarra e la voce di Jorge Cortes tessono trame pesantissime dalle tinte oscure, che flebilmente si prendono l’onere di far calare il drappo viola sull’intera tracklist dell’album.

The Enigma of Evil sa dispensare momenti di carica Doom senza dubbio affascinanti, alternati però a situazioni di stanca. Quello che emerge dopo un po’ di passate è la mancanza di continuità d’intenti, ingrediente che renderebbe molto più compatto l’intero lavoro. In definitiva El Hijo de la Aurora è combo da tenere sicuramente d’occhio, le idee in quel di Lima di certo non difettano – l’utilizzo di strumenti inusuali può essere interessante, nel prosieguo della carriera – anche se andrebbero maggiormente canalizzate verso una proposta un poco più centrata.  

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

Ultimi album di El Hijo de la Aurora