Recensione: The Final Requiem

Di Leonardo Arci - 22 Aprile 2007 - 0:00
The Final Requiem
Band: Axenstar
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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55

Gli Axenstar sono una di quelle band che a ragione vengono in mente quando si parla di power metal derivativo e impersonale. Dispiace esordire in questo modo ma dopo 4 dischi che ripropongono sterilmente sempre gli stessi stilemi del genere, senza nemmeno tentare di offrire uno spunto leggermente più originale ma svolgendo il compitino asetticamente e oserei dire svogliatamente, non mi viene in mente modo migliore per offrire al lettore una prima chiave di lettura di questo “The Final Requiem”. Seguo la band dagli esordi, incuriosito da quel monicker dal sapore vagamente retrò e da una cover che sintetizzava alla perfezione il genere suonato da questi svedesi, e nonostante un primo parere positivo, i nostri col tempo hanno dimostrato di non sapersi staccare dal cordone ombelicale che li teneva legati a band come Stratovarius e Sonata Arctica. Mi ritrovo oggi a chiedermi che intenzioni abbiano gli Axenstar, se diventare un gruppo vero e proprio con una propria identità oppure appartenere alla folta schiera di band clone di cui francamente si sente poco il bisogno. Nemmeno la line up rinnovata (che ha visto l’ingresso di Joakim Jonsson alla chitarra solista) accompagnata dal cambio di etichetta, ha contribuito a dare una scossa ad un songwriting troppo piatto e freddo per poter far breccia nel più incallito sostenitore del power melodico.

Il vero limite di questo The Final Requiem è, a mio avviso, la scontatezza e la piattezza dei brani, che sembrano un’unica traccia della durata di 55 minuti: demerito senza dubbio di un songwriting scarno e per nulla incisivo, ma anche di una produzione troppo edulcorata che tende a bilanciare troppo le diverse componenti strumentali con il risultato di rendere troppo omogeneo il sound finale, all’interno del quale non emerge uno strumento guida, non una linea ritmica più accattivante, non un riff o una melodia che ti si stampa in mente, solo fastidiosa doppia cassa e riffing monocorde e smussato. Nemmeno le tastiere riescono ad impreziosire il lavoro con una venatura epicheggiante che qui manca quasi completamente  A ben vedere l’unica nota positiva dell’intero lavoro sono le apprezzabili capacità esecutive dei singoli membri e le linee vocali, che non mancano di definire cori abbastanza orecchiabili. Purtroppo anche questo aspetto positivo appare fortemente penalizzato dalla voce di Magnus Winterwild, eccessivamente statica e fredda anche quando si esibisce in acuti davvero impalpabili.

Qualche pezzo carino esiste pure, l’opener Final requiem, per esempio, tipico pezzo power dinamico e orecchiabile, infarcito di un interessante duello di chitarra a metà traccia e di un coro abbastanza gradevole. Qualche timido tentativo di svincolarsi dai soliti cliché power si intravedono in The edge of the world la quale affianca ad un coro in pieno stile power una componente strumentale che strizza l’occhio a soluzioni più heavy oriented. The Hide, che pur sviluppandosi su coordinate power, esordisce con un valido lavoro di tastiere che rendono la parte strumentale più ariosa avvicinandola a soluzioni quasi AOR. Ma si tratta tuttavia di spunti che non vengono approfonditi e che pertanto rappresentano solo delle gocce nel deserto della pochezza di questo CD.

Tracklist:
1. Final requiem
2. Condemnation
3. The divine
4. Edge of the world
5. Thirteen
6. The hide
7. Underworld
8. Spirit
9. Pagan ritual
10. Seeds of evil
11. End of the line
12. Beyond the lies

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