Recensione: The Furnaces Of Palingenesia

Di Alessandro Marrone - 7 Ottobre 2019 - 8:00
The Furnaces Of Palingenesia
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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82

Quella dei francesi Deathspell Omega è una discografia a dir poco invidiabile. Cominciato nel 2000 con il grezzo e violentissimo Infernal Battles, il percorso della band è riuscito a mantenersi su livelli encomiabili, nonostante le differenze da un album all’altro siano facili da riscontrare anche da un ascoltatore meno attento. Non siamo qui per parlare dei capolavori degli anni passati, ma per accogliere il ritorno in studio del trio composto da Hasjarl, Khaos e Mikko Aspa. Sono passati 9 anni dall’ultimo album, quel Paracletus che tanto ha rinnovato il sound, quanto accolto i favori di chi si aspetta sempre qualcosa di stravolgente. In tal caso, i Deathspell Omega sono il gruppo a cui fare riferimento. The Furnaces Of Palingenesia arriva come un fulmine a ciel sereno, come un disastro apocalittico che non risponde né a un motivo, né a una giustizia (suprema), ma che dopo il suo passaggio trasformerà tutto ciò che abbiamo sempre conosciuto come vita. Le fornaci della rinascita (significato della parola greca ficcata nell’evocativo titolo) hanno come filo comune quello di porre i drammatici testi della band come se fossero un lungo e misantropico ammonimento che abbia l’intento di mettere in guardia un’umanità non meritevole di calcare ancora questo crudele pianeta.

 

Trasformando le idee in musica, l’album si introduce con Neither Meaning Nor Justice, manifesto rappresentativo del messaggio intriso in ogni singola strofa di ogni canzone del disco. A seguire non veniamo investiti dalla più irrazionale furia che vi aspettereste a rappresentanza di un lavoro black metal, anche se diverso rispetto al solito. Le sezioni veloci sono meno del solito e fatta eccezione per l’ottima Renegade Ashes, il tempo dell’album si assesta prevalentemente su brani più cadenzati, ma non per questo meno efficaci. La produzione è pastosa e se a tratti sembra penalizzare l’incisività e la profondità del sound del trittico, il fatto di aver registrato in presa diretta conferisce ai brani quell’impossibilità di essere temporalmente identificati con precisione. Siamo nel 2019, ma The Furnaces Of Palingenesia suona come se fosse uscito fuori dal 1999 o dal 2009 e nel black metal questo è tutto fuorché un aspetto negativo. L’atmosfera surreale che ci trascina a stento nello spesso strato di oscurità che sembra premerci verso il basso a ogni minuto che passa, ci porta al cospetto di Ad Arma! Ad Arma! – in assoluto uno dei migliori episodi all’interno di questo lavoro.

 

E’ come se, voltandosi freneticamente, non si riesca a distinguere altro che il buio totale, come quello che non riesci a definire una volta chiusi gli occhi. Si respira a fatica durante l’oppressiva Splinters From Your Mother’s Spine, mentre la ritmica ossessionante di Imitatio Dei fa da trampolino per un finale da applausi. Le chitarre graffiano come i latrati di un branco di cani rabbiosi, mentre il basso tesse una base quasi rituale sotto la debole luce di canzoni lontane dal black più tradizionale, ma con il quale mantengono un cordone ombelicale che una band di tale esperienza riesce a preservare intatto e far venir fuori quando l’ascoltatore ne senta maggiormente il bisogno (Standing On The Work Of Slaves). Profetica, apocalittica e incessante, Absolutist Regeneration lascia spazio alla conclusiva You Cannot Even Find The Ruins…, un brano per il quale meri aggettivi non basterebbero. Il mondo è cambiato per sempre, la profezia si è avverata ed ora l’unico rumore che sovrasta il silenzio caduto sull’umanità in seguito alla devastazione, è la flebile voce di Aspa che sembra incamminarsi verso un orizzonte ridotto in macerie, magari verso quello che potrebbe essere l’inizio che segue la fine, senza una direzione, né un motivo, né una giustizia.

 

The Furnaces Of Palingenesia è un disco di spessore notevole, per nulla facile da assimilare, tantomeno prevedibile in quella sua costante morsa che sembra voglia far mancare l’aria sin dai primi minuti di ascolto. I testi ricoprono sempre un ruolo di importanza cruciale, continuando a soddisfare chi cerca quel dettaglio estremo anche nel più recondito angolo di un disco musicale (“The mouth of the dissenter shall be filled with spiders and his heart cut out and fed to the dogs”), ma ciò che segna un altro episodio convincente nel pallottoliere del trittico transalpino prende le forme di un lavoro che impregna la propria identità, indefinita quando mescola strati di chitarre a ritmiche più lente rispetto al black metal canonico, avanguardistico quando riesce a trascinarci verso il lato oscuro di un mondo inconsapevole di essere il vero artefice di un destino così severo. Se cercate qualcosa di valido, fate un salto qui, ma non abbiate fretta nel giudicare. Entrateci dentro corpo e anima, capitelo, vivetelo. Se i Deathspell Omega sono tra le vostre band preferite – il che non sarebbe una casualità – non servono altre parole.

 

Brani chiave: Ad Arma! Ad Arma! / Standing On The Work Of Slaves / Renegade Ashes / You Cannot Even Find The Ruins…  

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