Recensione: The Golden Bough

Di Stefano Ricetti - 12 Ottobre 2010 - 0:00
The Golden Bough
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Anno: 2010
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86

Costituisce sempre grande fonte di godimento il fatto di stupirsi positivamente durante l’ascolto di un disco, in questi ultimi anni, dove per lo più, giocoforza, impera il riciclo e il riadattamento delle idee dei decenni precedenti. Con il massimo, rispetto, s’intende!

I tedeschi Atlantean Kodex, attivi dal 2006 e con un paio di Ep nello scrigno, riescono a farlo, con il Loro debutto ufficiale su full length intitolato The Golden Bough, dalla copertina semplicemente fantastica, raffigurante il quadro del simbolista svizzero Arnold Böcklin (1827-1901), Die Toteninsel, nella sua quarta versione. Un’opera dal fortissimo impatto, misteriosa e oscura anche nella genesi, tela amatissima dagli alti gerarchi del Terzo Reich Nazista e utilizzata dal gruppo solo dopo aver ottenuto il permesso dalla Nationalgalerie di Berlino .

L’iniziazione all’album è condensata nella pagina due del booklet, sotto il titolo A Study In Magic And Religion, dove vengono spiegati i presupposti per poter cogliere al meglio lo spirito di cotanta opera, che attraversa 12.000 anni di mitologia europea. I Nostri, evidentemente, confidano molto nei testi, che infatti contengono frasi o semplici parole riportate in caratteri grafici diversi rispetto al resto e ogni singola canzone è accompagnata da un sottotitolo esplicativo.

La nera estasi metallica inizia con Fountain Of Nepenthe, episodio ove l’amore per l’Epic Metal maestoso scevro dei suoi effetti maggiormente pacchiani si sublima, anche e soprattutto grazie alla voce di Markus Becker, che magicamente si compenetra al 100% con il songwriting dei cinque di Vilseck, esattamente come accadeva per Rick Cunningham (Damien King II) in …And The Cannons Of Destruction Have Begun dei sublimi Warlord, anno 1984. Mai eccessivo ma viceversa ficcante, melodico, alla bisogna stentoreo senza forzature quando le partiture lo richiedono. Semplicemente perfetto per un disco come The Golden Bough. Arrivare alla fine del primo brano dopo i dieci minuti di durata senza accorgersi e nemmeno minimamente pensare di premere “skip” per poi tornare all’ascolto completo in un diverso momento è indicativo della capacità perforante degli Atlantean Kodex. Pilgrim, sempre permanendo su coordinate plumbee e mai veloci spicca per la vena melodica del bridge, irresistibile per quanto suona cimiterialmente celestiale, evocando il Grande Spirito che guidò il songwriting dei Manowar del periodo invincibile targato Hail To England.

L’inevitabile strumentale The White Goddess anticipa la crepuscolare ma pesantissima Temple Of Katholic Magick, che pare dar fiato alle urla di un qualsiasi mattone imprigionato nelle oscure trame edilizie di un ipotetico castello del periodo de In Nome Della Rosa. Le riminiscenze Manowar dell’era del Ferro e del Fuoco la fanno ancora da padrone, leggasi
Into Glory Ride-period, Anno Domini 1983. Inaspettato aumento della velocità media in Disciples Of The Iron Crown, episodio violento e in your face dopo tanti miasmi eroici, ma si tratta di un momento isolato, infatti le trame provenienti dal Valhalla tornano a impossessarsi della vena artistica dei Nostri, fra rintocchi di campane e un Markus Becker particolarmente recitativo che anticipa la deflagrazione del magma metallico dopo due minuti abbondanti di ascolto. Il pezzo che dà il nome al gruppo è quello che suona più happy – con gli opportuni distinguo – del lotto, fra cavalcate imperiose e utilizzo di metriche melodiche da parte del singer. Imperdibili gli echi di una battaglia lontana in sottofondo, circa a ¾ del pezzo. A Prophet in the Forest consiste di quindici minuti netti di Metallo Epico con la emme maiuscola, roba accostabile al singolo Defender dei quattro guerrieri di New York del tempo che fu. Enfasi, acciaio puro e greve in dosi da cavallo, domato per l’occasione dai cinque teutoni Atlantean Kodex, implacabili messaggeri di siderurgia sopraffina, direttamente dalle fucine del Dio Vulcano. La corta title track chiude il disco, fra arpeggi e narrato.

The Golden Bough è una lenta marcia inesorabile verso lo Zenith dell’HM eroico, dove la magniloquenza sonora non risulta mai fine a se stessa o fuori posto e i richiami ai maestri del passato assumono i toni di un doveroso riconoscimento nei confronti della Storia del genere.
Intrigante.
Hail!

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Tracklist:
1. Fountain of Nepenthe
2. Pilgrim
3. The White Goddess
4. Temple of Katholic Magick
5. Disciples of the Iron Crown
6. Vesperal Hymn
7. The Atlantean Kodex
8. A Prophet in the Forest
9. The Golden Bough

Line-up:
Markus Becker – Vocals
Manuel Trummer – Guitar
Michael Koch – Guitar
Florian Kreuzer – Bass
Mario Weiss – Drums

 

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