Recensione: The Great One

Di Matteo Orru - 27 Ottobre 2018 - 0:04
The Great One
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Avevo ascoltato qualche tempo addietro gli Arcanorum Astrum, band russa che esordì nel 2012 con un album dal titolo impronunciabile Прозрение, fautori di un non certo originalissimo symphonic black metal dalle forti venature death che andava a pescare a piene mani nella vincente ricetta proposta dai ben più noti Dimmu Borgir.

Gli ingredienti per poter ben figurare c’erano tutti; potenza, cattiveria e melodia a nostro servizio, ma senza effettivamente lasciare il segno come avrebbero dovuto.
Qualche mese fa mi sono imbattuto nel Caprone di Mendes immerso in una tempesta di sangue porpora: dopo essermi stropicciato gli occhi mi sono reso conto che si trattava semplicemente della bellissima cover (ad opera della Mayhem Project) del nuovo platter sulla lunga distanza dei rinati moscoviti Arcanorum Astrum.
In pratica ci troviamo di fronte a una nuova band in quanto solo Casurus (chitarra) e Sahabial (tastiere) facevano parte della formazione che incise 5 anni prima Прозрение, mentre il resto del gruppo, formato ora da sei elementi, si cela dietro pseudonimi che non fan per nulla presagire buone intenzioni.
Come da prassi l’apertura della messa nera è affidata a una intro chiamata Initiatio, della durata di poco più di due minuti, che serve all’ascoltatore come monito, se proseguire il cammino negli inferi oppure lasciar perdere e salvarsi la pellaccia.
Avete scelto di continuare, benissimo, perché come furia cieca la band attacca subito con Architet e da qui si capisce subito che si fa sul serio: il salto di qualità che la band ha fatto con questo nuovo album è incredibile, sia a livello di songwriting che di produzione, che appare cristallina valorizzando l’operato di “signori” musicisti, a partire dal drummer indiavolato che pesta senza sosta ma con grandissimo gusto e tecnica per tutto il lavoro, fino alle chitarre, che proliferano riff affilati come lame e solos davvero ben riusciti e mai invadenti per dare, anzi, un valore aggiunto a ogni song del lavoro.
Tuttavia è la voce di Demether Grail che mi ha lasciato davvero stupito, dallo scream di qualità al growl più cavernoso con una scioltezza da veterano, condendo qui e la il tutto con narrati evocativi o cori da battaglia a dare quel tocco di epicità che in tali contesti non guasta mai (ascoltare per credere Tide of Pleague o Asmodeus).
E le tastiere? L’elemento principe delle band symphonic in questo caso viene usato con astuzia e intelligenza, senza appesantire la riuscita dei brani o apparendo invadenti: risulta così bellissimo l’intro e pure il corpo portante della della title track, con le stesse tastiere che si intrecciano con i fantastici solos classici delle chitarre, e in Forgive My Longing, Satan!, una vera e propria “ballata” dedicata al The Great One (la gran parte dei testi non parlano di foreste e folletti, ma sono veri e propri inni al male e al signore degli inferi) nella quale melodia e drammaticità la fanno da padrone.

La matrice death della band fa capolino in Mind Transformation, non il miglior brano del combo ma nel quale i nostri fanno vedere di che pasta son fatti, così come le sonorità più orrorifiche che derivano inevitabilmente dai più famosi norvegesi citati in apertura di recensione.
L’ascolto tutto d’un fiato è devastante, infatti nonostante siano presenti molti momenti atmosferici e dei rallentamenti, la rabbia contenuta in questo lavoro è davvero pazzesca e viene sprigionata con una qualità che, speriamo, dia maggiore visibilità a questi ragazzi in ambito internazionale.
In conclusione è inutile citare ogni singolo brano di questo The Great One, perché siamo di fronte a un album potente, ben prodotto e soprattutto completo, cosa che manca a tanti lavori di oggi.
Una sorpresa inaspettata e consigliata a chiunque sia amante delle sonorità estreme e per chi è esigente e dal palato più fino, in cerca di produzioni di livello superiore.

 

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