Recensione: The Heathen Dawn

Di Davide Pontani - 27 Luglio 2016 - 21:11
The Heathen Dawn
Band: Lonewolf
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Attivi sin dal 1992 ma affacciatisi ufficialmente sul mercato discografico quasi dieci anni dopo, i francesi Lonewolf sono riusciti a ritagliarsi un piccolo spazio nell’affollatissimo panorama dell’heavy metal più classico ed incontaminato, arrivando a contare con questa ultima uscita ben otto album all’attivo. A dispetto della provenienza geografica, è puro metallo teutonico quello che scorre nelle vene dei quattro lupi solitari e “The Heathen Dawn” non sposta di una virgola quello che è il percorso musicale del gruppo, fatto di un Heavy/Power roccioso e granitico che alterna bordate speed a brani più epici e cadenzati. Uno stile semplice, diretto e senza fronzoli che ha come muse ispiratrici Running Wild per quanto concerne il lato prettamente musicale e Grave Digger per lo stile vocale grezzo e ruvido di Jens Borner, con qualche richiamo sparso ai Sabaton. Nonostante l’immobilismo musicale della proposta, il lavoro funziona, risultando compatto e potente, strabordante di riff azzeccati e refrain ispirati.

Chi ha seguito il gruppo fin dagli esordi, noterà che il sound ha subito nel corso del tempo una leggera sgrezzata a livello di produzione. Trattasi di un’evoluzione naturale, che non ha minimamente snaturato lo stile del gruppo, il quale ha fortunatamente evitato una deriva verso un appiattimento di sound, tipica di alcune iperproduzioni pompate.

Dopo la breve intro sinfonica e magniloquente fa il suo ingresso dirompente “Wolfsblut”, potente galoppata metal caratterizzata da melodie maideniane e da un refrain fiero e possente. Per gli amanti del metallo più “true” e vigoroso non poteva esserci inizio migliore. Neanche il tempo di rifiatare che l’adrenalinica “Demon’s Fire” travolge tutto e tutti senza fare prigionieri. Si tratta di una speed song furiosa e pesantemente debitrice allo stile dei sopracitati Running Wild soprattutto per l’uso smodato del tremolo picking. “Keeper of the Underworld” è un mid tempo tutto giocato su di un ritornello orecchiabile ed immediato, ben supportato da ottime melodie di chitarra epiche e festose al contempo. Ci spostiamo verso lidi più epici e cadenzati, ma viaggiando sempre su livelli alti con la micidiale doppietta “When the Angels Fall” e “Until the End”. Quasi viking metal nel suo incedere rabbioso e caratterizzata da un refrain da brividi la prima (chicca nel finale, una citazione da un noto pezzo dei, guarda caso, tedeschi Scorpions); solenne ed epica la seconda, ulteriormente arricchita da un assolo dal sapore squisitamente maideniano. La tirata “Rise to Victory” è una bordata di puro metallo rovente che fa coppia con la precedente “Demon’s fire” e ancora una volta si riaffaccia il fantasma dei Running Wild più sanguigni. Pervasa anch’essa da un afflato epico, la title track si fa forte di un refrain ricco di pathos, risultando piacevole senza nulla aggiungere e nulla togliere a quanto proposto fin qui dai nostri. La furia dei lupi non si placa ma continua con “Into the Blizzard” che travolge l’ascoltatore con le sue sferzate glaciali e lo incanta con le sue melodie evocative. “The Birth of a Nation” ricorda i Running Wild più ambiziosi, quelli di “Genesis” per intenderci. A chiudere in bellezza ci pensa la drammatica “Song for the Fallen”, altro pezzo da novanta emozionante e carico di pathos.

Le due bonus track che arricchiscono l’edizione digipack sono brani maggiormente frivoli e leggeri che si discostano leggermente dallo stile adottato fin qui andando a smorzare la tensione che ammantava le tracce precedenti: “I Choose the Dark” è un robusto mid tempo di puro heavy metal ottantiano, mentre “Mother Faith” è un palese omaggio alla celebre “Ride the Sky” di helloweeniana memoria, ripresa tanto nel riff portante quanto in alcune melodie del solo. Da segnalare il refrain semplice ma piacevole.

Con questo lavoro i Lonewolf ci ricordano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che nel 2016 è ancora possibile produrre lavori interessanti pur suonando un genere dato da molti per morto e sepolto, a patto che si abbia la giusta freschezza e ispirazione. E in questo i lupi francesi centrano l’obiettivo, evitando di apparire il classico gruppo fotocopia senza personalità. Va detto che un lavoro simile, tutto sommato privo di variazioni che vadano oltre all’alternanza speed/mid tempo, alla lunga può stancare chi non è un cultore del genere, rischiando di risultare ripetitivo, soprattutto per lo stile vocale un po’ monocorde ed è forse inutile specificare che si tratta di un lavoro fortemente sconsigliato a chi dalla musica cerca l’originalità a tutti i costi. Chi invece ama questo tipo di sonorità robuste e muscolari ed è cresciuto a pane e Running Wild avrà di che godere sicuramente.

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