Recensione: The Hemulic Voluntary Band

Di Riccardo Angelini - 8 Settembre 2007 - 0:00
The Hemulic Voluntary Band
Band: Ritual
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2007
Nazione:
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76

Che la Svezia sia terreno fertile per la nascita e la crescita di più o meno giovani talenti del progressive rock non è certo un mistero. Sono parimenti ormai assodate le virtù aquiline del vigile occhio di mamma InsideOut, capace negli anni di scovare e portare alla luce alcune delle più interessanti realtà del genere (qualche nome? The Tangent, A.C.T., Carptree, Paatos, RPWL e Beardfish, solo per restare in terra scandinava). Non recherà dunque particolare sorpresa la scoperta dell’ultima fatica degli ancora poco noti Ritual, prog act capitanato da Patrik Lundstrom (Kaipa) in cerca della meritata visibilità con il quarto lavoro da studio.

 

Fautore di un progressive rock capriccioso e irriverente – ma che pure non rinuncia alle antiche radici di poesia e raffinatezza – il combo svedese presenta un’opera di carattere tradizionale, legata con triplice vincolo all’eclettismo dei Flower Kings più ispirati, alle sinfonie corali dei classici Genesis e Gentle Giant oltre che, naturalmente, al prog folk dei Kaipa più spensierati. Eloquente biglietto da visita è l’opener nonché title-track “The Hemulic Voluntary Band”, la quale subito spezza l’equilibrio tra serio e faceto erompendo in un refrain balordo e dispettoso che nella sua gaia semplicità quasi fa passare inosservato il pazzesco lavoro ritmico/melodico della strumentazione tutta, chitarre in testa. Di brano in brano, le molte maschere dei Ritual si avvicendano in una parata goliardica e buffonesca. Si passa dalla spensierata letizia di “Waiting by the Bridge” alla nostalgica delicatezza di “Late in November”, dalla tensione dissimulata di “In the Wild” al grottesco caracollare di “The Groke”: il sound è sempre il medesimo me le successive metamorfosi ne offrono una facciata ogni volta diversa, ogni volta imbrattata dalle provocazioni canore di un Lundstrom particolarmente ispirato al microfono. Dulcis in fundo, la conclusiva “A Dangerous Journey” fagocita una buona fetta di folk rock scandinavo per rigurgitare una suite dai molti colori, camaleontica e mai prevedibile: un lungo cammino da percorrere senza fretta, soffermandosi di tanto in tanto per gustarne i paesaggi da fiaba silvana.

 

Pur mantenendo in alcuni tratti – dall’incidenza fortunatamente limitata – il vizioso gusto tipicamente lundstromiano per la prolissità, il quarto capitolo dell’almanacco Ritual porta a termine con successo la propria missione, rivelandosi da ultimo superiore anche all’ultimo Kaipa (cui pure deve non poco), da parte sua troppo dispersivo e dilatato. Sarà l’aria dei boschi del nord, sarà una configurazione astrale particolarmente favorevole: quel che è certo è che negli ultimi anni la terra di Svezia ha saputo offrire più d’un boccone prelibato al popolo del prog rock, il cui palato non è notoriamente tra i più facili da appagare. Vale per i Ritual il discorso recentemente già formulato relativamente ai connazionali Beardfish: se pure non siamo qui a parlare di capolavoro, è certo che dischi come questo sono un toccasana per la salute del progressive tutto.

 

Riccardo Angelini

 

Tracklist:

1. The Hemulic Voluntary Band (04:53)
2. In The Wild (05:53)
3. Late In November (04:56)
4. The Groke (06:05)
5. Waiting By The Bridge (04:36)
6. A Dangerous Journey (26:33)

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