Recensione: The Hunter

Di - 9 Ottobre 2011 - 0:00
The Hunter
Band: Mastodon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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87

Nel mondo della musica pesante il passaggio contrattuale di una band da un’etichetta indipendente, per quanto grossa possa essere, ad una major è sempre visto con riluttanza dai fan. Il rischio che la casa discografica metta il naso nelle scelte stilistiche del gruppo pur di vendere qualche copia in più ammorbidendo il suo sound è cosa risaputa da ormai qualche decade. Nella fattispecie i Mastodon sorpresero un po’ tutti con la firma di un contratto per Warner in occasione del successore dell’acclamatissimo Leviathan, gioiello di post-metal progressivo tinto di stoner e doom.

L’evoluzione stilistica affrontata dal quartetto di Atlanta in occasione dei dischi successivi a quello citato è stata palese con uno spostamento verso coordinate sempre più melodiche e meno claustrofobiche. Il risultato è che, allo stato attuale delle cose, i Mastodon risultano essere piuttosto diversi da quelli degli esordi, così da far credere di trovarsi davanti quasi ad una band diversa.

Il presente The Hunter ruota attorno ad una ricercatezza melodica che ampia non di poco gli orizzonti delle già larghe vedute della band. L’elemento psichedelico è sempre presente, ma non crea vortici ossessivi come in passato e si nota un rafforzamento strutturale che pilota il sound verso quella che è la canonica forma canzone con l’alternarsi di strofe e ritornelli. Se tutto questo può essere letto come una commercializzazione della proposta dei Mastodon, in realtà va detto che assomiglia molto di più ad una crescita creativa piuttosto che ad una svendita dei propri ideali in nome del dio denaro.

Ed allora diciamolo subito: The Hunter è un disco più accessibile dei suoi illustri predecessori, un lavoro che mette in luce l’amore verso band come Queens Of The Stone Age, gli onnipresenti Black Sabbath, Foo Fighters, ma sempre visti e corretti sotto la lente d’ingrandimento di Brent Hinds e soci. In mezzo a tutto questo, non va però dimenticato il progressive, genere che i Nostri non mancano di tributare in più di un’occasione.

Entrando nello specifico dei singoli brani, è possibile vedere ancora più a fondo lo spostamento di coordinate avvenuto in quest’occasione attraverso l’incedere di un brano come il primo singolo Curl Of The Burl, pezzo molto ben costruito e giocato su una melodia vocale estremamente accattivante. Da una canzone che si candida ad essere la più catchy del lotto, si passa poi a Blasteroid che, invece, si trasforma dopo un inizio prettamente rock in una scheggia impazzita con l’unica concessione allo screaming dei bei tempi individuabile all’interno del disco. I “vecchi” Mastodon sono comunque individuabili nell’opener Black Tongue, furbamente posta in apertura per non spiazzare eccessivamente l’ascoltatore, ma anche in Stargasm che della psichedelica e delle liturgie spaziali si fa portabandiera per un brano piuttosto meditativo.
Come per magia emerge poi lo sconfinato amore dei Nostri per il prog rock degli anni ’70 con Octopus Has No Friends, ma si tratta solo di un’influenza tra le tante, visto che poi ci pensa la successiva All The Heavy Lifting a mettere in quadro la situazione. Come da titolo, infatti, trattasi di uno dei pezzi più pensati del disco, caratterizzato da un riffing piuttosto elaborato e da un ritornello certamente melodico, ma anche sofferto. Tale stato d’animo torna nella title-track, brano che mette in mostra l’influenza che i Pink Floyd hanno avuto sui Mastodon attraverso un ipnotico arpeggio reiterato in maniera quasi ossessiva.
Arrembante e thrashy, Dry Bone Valley unisce partiture metal allo stoner ed al sound desertico di certi Kyuss per un miscuglio piuttosto riuscito dove finalmente Brann Dailor sfoga tutto il suo ego sul drum kit con lo stile che lo ha reso un batterista estremamente fantasioso. Rapidamente conclusa tale parentesi, si passa a quello che, forse, è il pezzo più “malato” e destrutturato dell’intero The Hunter, vale a dire Thickening, un susseguirsi di cambi d’umore che scorrono in maniera molto emotiva.
Ulteriore dose di psichedelia viene fornita da Creatures Lives, ma si torna presto a pestare duro con Spectrelight che riprende il discorso di Dry Bone Valley con un incedere molto vicino al thrash. In questo caso convince poco la prova vocale, poco incisiva e soffocata da un wall of sound eccessivo. Ma per fortuna le cose cambiano con Bedazzled Fingernails, probabilmente la canzone più strana dell’album con un filtro vocale che fa emergere nuovamente il lato psichedelico e sperimentale dei Mastodon. Chiude, poi, The Sparrow, il cui discorso è una ripresa di quello fatto per la title-track, in cui Gilmour, Waters, Mason e Wright costituiscono la principale fonte d’ispirazione.

In mezzo a tutto questo amalgama di sonorità, va segnalato comunque che una pecca c’è: il cantato non è sempre all’altezza della situazione. Il voler virare verso partiture più melodiche si scontra con l’incertezza di certe soluzioni vocali che osano un po’ troppo. La conseguenza è una parziale perdita di focus in alcuni momenti, i quali risultano essere troppo decontestualizzati dal continuum del disco.

In sostanza quello che traspare dai solchi virtuali dell’ultimo lavoro a firma Mastodon è un sound in continua crescita ed evoluzione, mai fermo o statico, ma che presenta sempre nuovi lati ed inedite sfaccettature di sé stesso, pur mantenendo un inconfondibile trademark. Non si può svalutare una carriera in netta evoluzione come quella del quartetto in esame, ma solo applaudire il coraggio e la tenacia del tentativo di creare sempre soluzioni mai banali.

Andrea Rodella

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Tracklist
1 – Black Tongue
2 – Curl of the Burl
3 – Blasteroid
4 – Stargasm
5 – Octopus Has No Friends
6 – All the Heavy Lifting
7 – The Hunter
8 – Dry Bone Valley
9 – Thickening
10 – Creature Lives
11 – Spectrelight
12 – Bedazzled Fingernails
13 – The Sparrow

Durata: 53:01 min.

Lineup
Troy Sanders – Bass, Vocals
Brent Hinds – Guitar, Vocals
Bill Kelliher – Guitar, Vocals
Brann Dailor – Drums, Vocals

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