Recensione: The Hysterical Hunt

Di Stefano Usardi - 18 Gennaio 2019 - 10:00
The Hysterical Hunt
Band: Lemuria
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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80

The Hysterical Hunt”, terzo lavoro dei belgi Lemuria, arriva a ben nove anni dal precedente album del quintetto; anche in questo caso ci troviamo dinnanzi a un concept-album storico ambientato in Francia, ma mentre “Chanson de la Croisade” narrava della crociata contro i catari del tredicesimo secolo, “The Hysterical Hunt” fa un salto in avanti di cinque secoli e ci trasporta dritti dritti nel Settecento: per la precisione nella zona del Gévaudan, resa notoria da una misteriosa bestia che ne terrorizzò le contrade tra il 1764 e il 1767 e divenuta protagonista, in tempi relativamente recenti, del film “Il Patto dei Lupi“, con Vincent Cassel, Mark Dacascos e la nostrana Monica Bellucci. Tralasciando l’aneddotica storico-cinematografica per passare all’ambito prettamente musicale, “The Hysterical Hunt” si presenta – a fronte di una definizione iniziale di black metal sinfonico – come un amalgama di generi diversi, in cui atmosfere oscure e maligne si mescolano alla maestosità un po’ kitsch di certo power travestito da gothic e alle frustate tipiche del black più rissoso. Giusto per capirci: prendete i Dimmu Borgir di “Death Cult Armageddon” e “In Sorte Diaboli”, mescolateli con i Nightwish di “Imaginaerum” e soprattutto i primi Bal Sagoth e avrete un’idea di massima della miscela proposta dal nostro quintetto; per l’occasione, inoltre, il gruppo si è servito anche della collaborazione dell’attore belga Herbert Flack in qualità di voce narrante e delle cantanti Alexandra Kastrinakis e Sophia Poppy Verrept come voci aggiuntive. So già che molti di voi, alfieri del raw black oltranzista, stanno affilando i coltelli con espressione indignata; ebbene, passate pure ad altro, per voi qui non c’è nulla. Per dirla in due parole, “The Hysterical Hunt” è un lavoro che si muove in mille direzioni diverse, talmente carico e caciarone che alla fine funziona, trovando una sua quadratura del cerchio e rivelandosi un lavoro ben fatto, gradevole, atmosferico e dotato anche di una certa cattiveria intrinseca.

L’immancabile intro sinfonica apre, dopo un crescendo inquieto e sinistri sussurri di bambina, al singolo “A Plague Upon the Land”, maligno e incombente, in cui l’oscura maestà dei Dimmu Borgir si appropria della scena, coadiuvata da partiture magniloquenti inframmezzate da rapide e feroci sfuriate su cui si innestano gli ottimi ruggiti di Daan. In effetti la band di Shagrat torna alla mente piuttosto spesso, soprattutto per quanto riguarda il respiro altamente cinematografico della parte sinfonica, ma i nostri ci mettono comunque del proprio per creare qualcosa di meno pedissequo. Già con la traccia successiva, infatti, introdotta dai gemiti di una fanciulla in fuga dalla bestia, si percepisce qualche elemento nuovo: “The Hysterical Hunt” introduce profumi accostabili al folk sinfonico, che col loro trionfalismo spinto si sovrappongono ogni tanto al normale tessuto sonoro. L’intermezzo narrato, poi, che tanto profuma di vecchi Rhapsody, prelude a una sezione più distesa, sognante, prima di tornare a impennare il tasso di vorticosa malignità del pezzo senza, però, perdere di vista la sua enfasi declamatoria. La seconda metà della traccia continua a giocare con l’alternanza tra solennità dark e sferzate nere, prima di passare alla più ritmata “Between Man and Wolf”. Qui, complici anche ritmi più lineari, il tasso di violenza cala per indulgere in un clima più vicino a certo gothic, seducente e oscuro al tempo stesso seppur marcato stretto dalla solita voce abrasiva, che si impenna solo di tanto in tanto. “As Darkness Falls” è un intermezzo atmosferico, pomposo ma a conti fatti superfluo, che apre la strada alla successiva e scandita “Of Winter and Hell”, dall’intenso profumo di Nightwish in salsa horror. Il brano, molto scandito, gioca con un’atmosfera da film horror pompandone a dismisura i toni enfatici, pur mantenendo un sottofondo strumentale aggressivo che acquista peso col procedere dei minuti. Questo climax furente sfuma, nella seconda metà del pezzo, in una sezione strumentale distesa e più speranzosa, che accompagna l’ascoltatore al finale bombastico e nuovamente caciarone. Con la seguente “A Secret Life” arriva la sorpresa: la traccia si apre con un assolo carico di feeling e dall’intenso profumo heavy power, per poi cedere le luci della ribalta alla voce pulita femminile. Daan rientra subito in scena, battibeccando con la sua controparte angelica in un continuo tira e molla tra le due impostazioni da cui pare uscire vincitore. A questo punto le melodie si fanno di nuovo maestose, abbandonando l’oscurità per concentrarsi sulla maestosità, inframmezzata ogni tanto da intermezzi narrati e brevissime pause dal piglio quasi bucolico. Il pezzo si incattivisce per un attimo nella seconda parte, salvo poi tornare a una certa solenne tracotanza che sfuma infine in un passaggio più delicato giusto in tempo per il finale. “Deceptive Hibernation” si apre all’insegna della velocità, coi blast beat tipici del black sorretti, però, dalle solite magniloquenti tastiere; nonostante qualche sporadica intrusione di passaggi più pomposi e meno tirati, il pezzo si mantiene piuttosto agile e sferzante per tutta la sua durata, indulgendo di tanto in tanto in una certa cafonaggine. Si passa ora a “An Elusive Monster”, altro brano interlocutorio volto a creare un’atmosfera da colonna sonora in vista del gran finale ma che, a conti fatti, non fa che spezzare la tensione dell’album. Il profumo di Dimmu Borgir torna a propagarsi durante la corpacciuta “Endgame (The Impending Truth)”, traccia variegata in cui i nostri spaziano da assalti insistiti e minacciosi ad improvvisi squarci melodici dominati dalla voce pulita femminile. L’intermezzo narrato centrale si carica di un tepore idilliaco, sfumando poi in una velata minaccia prima di rituffarsi nella foresta dei riff; il trionfalismo cafone già incontrato in precedenza torna a farsi vivo ogni tanto nella seconda parte del brano, guadagnando terreno nell’assolo che introduce il finale e cede il passo alla conclusiva “Epilogue (Before the Dawn)”, traccia strumentale marchiata a fuoco da toni più rilassati, su cui si innestano i due interventi narrati che chiudono la storia. In realtà la versione in mio possesso possiede anche una bonus track, la ballata “A Dream that Never Came”, i cui toni romantici (per la verità un po’ troppo pronunciati) e la voce eterea mi hanno subito portato alla mente l’opera della canadese Leah.

Come scritto in precedenza, questo “The Hysterical Hunt” sembrerebbe, ad un primo ascolto, un pasticcio confuso e pacchiano di generi diversi mal appaiati, eppure sarebbe assai ingeneroso limitarsi a questo giudizio superficiale per liquidare il lavoro dei Lemuria. Tornando all’esempio cinematografico cui accennavo in apertura, devo dire che “The Hysterical Hunt” mi ha fatto lo stesso effetto del film “Il Patto dei Lupi”: una cafonata gustosa ma un po’ improbabile che, però, viene gestita in modo funzionale allo scopo e, al momento della resa dei conti e al netto di qualche caduta, arriva esattamente dove voleva arrivare. I Lemuria riescono a fare la stessa cosa, sfruttando la sfacciata pomposità dei brani come legante per bilanciare i vari aspetti del loro lavoro. Certo, non sarà “Starfire Burning Upon the Iced Veiled Throne of Ultima Thule“, ma visto nella sua ottica può decisamente dire la sua. Promossi.

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