Recensione: The Infernal Hierarchies, Penetrating The Threshold Of Night

Di Vittorio Sabelli - 3 Luglio 2014 - 9:15
The Infernal Hierarchies, Penetrating The Threshold Of Night
Band: Pact
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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64

Ultimamente la scena black metal made in U.S.A. pullula di nuove interessanti band, che riescono a mantener vivo l’interesse per il genere, spesso utilizzando contaminazioni funzionali a nuove aperture sonore (Murmur), altre volte restando ancorate ai padri (scandinavi) del genere.

In questa schiera rientrano senz’altro i Pact, band della Pennsylvania, che dà alle stampe il seguito del loro ottimo esordio “The Dragon Lineage Of Satan”, del 2012, dal cui titolo si evince chiaramente la direzione verso cui il trio è orientato. Infatti l’accoppiata Wretch/Hag, già collaudata nel side project Tunnels Of Typhon, con l’aggiunta del batterista “T”, colleziona i nove brani che compongono “The Infernal Hierarchies, Penetrating The Threshold Of Night”, discostandosi leggermente dal disco d’esordio in maniera naturale ma senza troppe novità.

La band impatta bene l’ascoltatore con uno stile e una produzione figli dei grandi maestri del genere; i musicisti sono preparati all’apocalisse: la chitarra furiosa di Wretch riesce a disegnare riff oscuri e malefici, mentre la voce di Hag si dimena egregiamente sui tempi dettati dal drumming di T.

Inevitabilmente i brani si susseguono con pochi accenni di personalità, se non per alcuni momenti (l’intro melodico e le chitarre dissonanti in “Firelord Andramelch”, lo slow centrale di “Under the Eclipse Of Tiphareth” e quello conclusivo di “The Howling Of Gamchicoth”), comunque abbastanza rari nel corso dell’intero disco.

Qualche cambio di tempo qua e là (“Baal-Zebub Lord of the Flies”) e qualche iniziativa melodica (“Pactmaker Lucifuge”) danno modo alla voce di Hag di esprimersi al meglio. La sua è senz’altro un’ottima arma per colpire, e lui non si risparmia, declamando, urlando e dando linfa vitale durante il corso di tutto il disco, col suo oscuro e greve tono.

Per il resto è un massacro continuo, assiduo, che ci porta ad assaporare i ‘vecchi’ e adorati Marduk, ma anche i più ‘nuovi’ Watain. Rientrano in questa categoria la maggior parte dei brani, capitanati dall’opener “The Hell Of Supernal’s” e dall’egregia “The Witchmother Of Shade’s”.

Il disco resta comunque gradevole per chi adora il genere nella sua visione moderna di produzione, anche se non rimarrà negli annali delle nuove generazioni che si dedicano al Signore Oscuro, ma senz’altro continua a tener in vita la scena d’oltreoceano, che comunque sa molto bene il fatto suo per quanto riguarda il black metal e sue varianti.

Che purtroppo non risultano particolarmente evidenti in questo lavoro. 

Vittorio “versus” Sabelli

 

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