Recensione: The Inner Abyss

Di Stefano Usardi - 17 Giugno 2016 - 19:01
The Inner Abyss
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2016
Nazione:
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64

Tornano di scena con il loro secondo disco i Clear Sky Nailstorm, giovane quartetto alemanno (sono di Brema) che si dedica ad uno speed metal aggressivo, debitore della scena thrash teutonica. Sette brani, trentasette minuti di durata: niente fronzoli, melodie corpose e tanta rabbia. A voler ben vedere la recensione sarebbe tutta qui, ma visto che potreste anche non essere soddisfatti di questo parere schematico procediamo con una trattazione più approfondita.

Del gravoso compito di aprire le danze s’incarica “I Hate – You more than Myself”, introdotta da un arpeggio maligno che esplode rapidamente in una traccia quadrata e rabbiosa, durante la quale il cantante Thomas sovrasta tutto con le sue urla alla Mille Petrozza. Il brano si mantiene su ritmi non particolarmente veloci, soprattutto considerando il genere proposto, con sporadici rallentamenti che ne aumentano il groove. L’assolo secondo me si perde un po’ per strada, ma alla fine la canzone si rivela opprimente quanto basta per garantire un buon livello di headbanging. “In Flames” inizia più o meno nello stesso modo, con riffoni grassi e ingombranti in cui, però, fanno capolino qua e là sprazzi di melodia: sarà un caso, dato il titolo? Battute a parte, va registrato un bel rallentamento a metà canzone, che prelude una nuova alzata di tono prima di tornare a picchiare senza ritegno per il finale, mentre Thomas urla sguaiato tra un blast beat e l’altro. La title-track parte con un piglio più determinato, srotolando fin da subito un bel riff e un paio di ottime accelerazioni che spezzano gli altrimenti soliti ritmi finora incontrati e che, francamente, stanno iniziando a rendermi l’ascolto un tantino indigesto: va bene il groove, va bene rallentare per appesantire, ma ogni tanto una bella dose di velocità ci starebbe anche; purtroppo, a parte le sfuriate cui accennavo poco fa, la canzone si mantiene sul solito andamento cadenzato e, lungo i 6:40 della traccia (la più lunga dell’album), i momenti veramente interessanti sono un po’ pochini. Peccato.

“Behind the Light”, introdotta da un bell’intreccio delle chitarre suonate da Thomas e Tobias, si diverte ad alternare stralci più agguerriti ad altri maggiormente atmosferici, regalando (finalmente) la prima sorpresa dell’album: complice, forse, un andamento mediamente più arrembante nelle parti veloci e un lavoro di chitarre più incisivo, a sua volta sorretto ottimamente dalla sezione ritmica.
Pare che a questo punto i nostri quattro ragazzoni abbiano trovato la quadratura del cerchio e il giusto bilanciamento ritmico, visto che anche la successiva “God is a Sadist” si rivela una traccia in cui, dopo una partenza a spron battuto, si torna ad alternare ritmi rallentati ad improvvise fiammate più rabbiose, confezionando un altro bel pezzo adrenalinico che farà parecchie vittime dal vivo. Con “I see a Storm” i Clear Sky Nailstorm, ormai a pieni giri, alzano ancora l’asticella con un pezzo che, dopo un riff iniziale tanto classico quanto schiacciasassi, prosegue la sua marcia inesorabile pestando il giusto, pur mantenendo un buon gusto per le melodie. L’unico appunto che mi sento di fare riguarda il fatto che in un paio di occasioni la batteria di Oliver sovrasti un po’ troppo il resto degli strumenti, ma si tratta di un dettaglio. Chiude quest’album dall’andamento crescente “Good Night to Fight”, che inizia con un bel giro di basso di Dennis per poi ripescare certi ritmi rock-blues vecchia scuola, energizzandoli e condendoli con la voce alcolica di Thomas, che alterna alle solite urla un approccio più piacione. Nella sua seconda metà la canzone pigia decisamente sull’acceleratore, trasformandosi, dopo il gong che dà il via alle ostilità, in una classica traccia frenetica da pogo violento. Ottima traccia, peccato che sia l’ultima dell’album.

Come già accennato prima, questo “The Inner Abyss” è un album strano, in cui le canzoni migliori si trovano, a mio avviso, a partire dalla metà dell’album e non all’inizio dello stesso. Pur non trattandosi né di un capolavoro né di un album imprescindibile, questo lavoro si lascia ascoltare anche grazie ad un alto tasso di passione e di “ignoranza” profuse in esso da questi quattro ragazzi, promossi con riserva in attesa di sviluppi futuri.

 

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