Recensione: The King Is Fat ‘n’ Old

Di Stefano Burini - 17 Maggio 2012 - 0:00
The King Is Fat ‘n’ Old
Band: Destrage
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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77

Quella dei Destrage è un storia abbastanza particolare, per certi versi, se vogliamo, non dissimile a quella di tanti “cervelli in fuga” dalla nostra penisola. La nascita del gruppo meneghino , composto da Paolo Colavolpe alla voce, Ralph Salati e Matteo Di Gioia alle chitarre, Gabriel Pignatta al basso e Federico Paulovich alla batteria, risale alla metà degli anni duemila mentre il primo demo, che varrà loro l’ingaggio con l’etichetta giapponese Howling Bull, vede la luce nell’ormai lontano 2006.

Da allora la parabola è andata in crescendo, tanto che sotto l’egida dell’etichetta del Sol Levante i Destrage immettono sul mercato nipponico il loro debutto sulla lunga distanza, l’ottimo “Urban Being”, edito in seguito anche nel resto del mondo tramite Coroner Records, la label che tuttora li assiste e promuove. In tempi più recenti la fama del quintetto milanese si consolida sia in patria che all’estero e nel 2010 viene rilasciato il secondo capitolo discografico in studio, “The King Is Fat ‘n’ Old”, seguito da un tour da headliner in terra giapponese oltre che da un gran numero di date in Italia.

Per descrivere la loro musica la parola chiave non può che essere “contaminazione”. Si parte da una solida base di techno thrash/death e poi di volta in volta si va ad arricchire il tutto con veraci puntate nel mathcore piuttosto che con inserti acustici o ritornelli in pulito di stampo metalcore molto efficaci e utilizzati con parsimonia. Rispetto ad “Urban Being”, nel quale i Destrage pigiavano con veemenza sul pedale del math/metalcore, su “The King Is Fat ‘n’ Old” la tendenza è quella di smussare alcune delle spigolature presenti sull’esordio e ampliare ulteriormente gli orizzonti, incorporando una serie di elementi provenienti dai generi più disparati.

I primi nomi che vengono in mente sono quelli di gente come Protest the Hero, In Flames e Dillinger Escape Plan, tuttavia fermarsi qui sarebbe davvero ingeneroso, tali e tante sono le influenze differenti presenti di traccia in traccia. Altrettanto doveroso risulta rimarcare la grande abilità tecnica di tutti e cinque i componenti: dalla grande varietà ritmica di basso e batteria passando per l’abilità nel comporre assoli in grado di unire tecnica ed espressività, fino ad arrivare a quello che è forse il maggiore punto di forza della band: la voce cangiante ed espressiva di Paolo Colavolpe. La sua versatilità è veramente eccezionale, tale da pensare di poterlo accostare ad Hernan Hermida degli All Shall Perish, uno dei cantanti della scena estrema più tecnici e quotati, rispetto al quale Paolo mantiene un registro meno evil, spaziando spesso anche in regime di clean vocals, mostrando tuttavia un’analoga abilità nel destreggiarsi tra mille e più stili di canto.

“Double Yeah” parte con un rifferama a metà tra prog e thrash metal, le chitarre molto effettate rimandano ai Periphery e al loro djent metal e Paolo dimostra immediatamente tutte le qualità cui si accennava in precedenza: potenza, cattiveria, personalità e grande disinvoltura nel passare in maniera quasi istantanea da growl profondissimi a scream taglienti e rugginosi, senza dimenticare strategiche puntatine in pulito. Registrazione e volumi appaiono immediatamente ottimali, particolare, al contrario, la scelta di un suono di batteria simil-St.Anger, ad ogni modo tutt’altro che fuori posto in un simile contesto sonoro. “Twice The Price” osa molto di più sul piano della contaminazione: apertura affidata ad atmosfere orientaleggianti e decisa virata verso lidi In Flames-oriented per quanto riguarda riff e melodie, in particolare il cantato di Paolo, più che mai camaleontico, rimanda in maniera decisa a quello di Anders Friden da “Reroute To Remain” in poi.

Per descrivere la successiva “Jade’s Place”, forse “fun metal” potrebbe essere l’etichetta più azzeccata: in un pezzo come questo c’è davvero di tutto: riff rockeggianti, strofe incazzate, ritornello accattivante di derivazione glam a presa rapida, continui cambi di tempo e un assolo acrobatico di memoria vanhaleniana. Sembra incredibile poter mettere tutta questa carne al fuoco in un unica traccia e riuscire a mantenere un filo conduttore, eppure i Destrage ci riescono e, anzi, ne fanno il loro punto di forza.

“Neverending Mary” si apre con le poche note di un’acustica soave e gentile sopra le quali piombano le feroci urla di Paolo, con la stessa grazia di una cassettiera che ti cade in testa dal trentesimo piano. Equilibrio degli opposti: espressione magari abusata ma incredibilmente calzante per descrivere come la violenza delle strofe sfumi con estrema naturalezza in un refrain ipermelodico che potrebbe essere tanto figlio dei Bullet For My Valentine quanto dei Verdena. Di grande intensità e classe lo stacco acustico intorno al minuto 2:00, fautore di un cambio d’atmosfera da brividi e perfettamente congegnato per spianare la strada al bell’assolo di chitarra. Risale velocemente il ritmo con la violenta “Back Door Epoque”, le strofe si aggirano dalle parti dei Dillinger Escape Plan ma il riuscitissimo tema vocale portante, di marca Avenged Sevenfold, riporta in fretta e furia la lancetta del contagiri esattamente a metà strada tra potenza e melodia. Menzione a parte di nuovo per il bell’assolo, straniante, minimale e dal deciso retrogusto neoclassico che non ci si aspetterebbe, e per il testo, tagliente e disincantato.

Di nuovo mathcore sincopato nelle strofe di “Smell You Later Fishy Bitch” e della successiva “Collateral Pleasure”, entrambe illuminate da ritornelli melodici d’effetto e da assoli molto curati e pertinenti, mentre il lato più funny dei cinque meneghini si palesa con la doppietta composta da “Home Made Chili Italian Delicious Beef” e da “Panda Vs Koala”. La prima con la particolarità dell’inserimento di uno degli sketch più noti tratti dalla popolare serie animata Family Guy e di un inserto mediorientaleggiante tutto da ridere; la seconda con il suo metalcore A7X-inspired a celare dietro ad un ipotetico scontro tra i due simpatici orsacchiotti un messaggio di “animalità globale” e di accettazione delle relative caratteristiche ferine, più o meno “socialmente tollerabili” esse siano. Tra le due si insinua la thrashy “Tip Of The day”, con le vocals di Paolo sul pulito di nuovo in odore di Avenged Sevenfold.

Veleggiando verso il finale a vele ben spiegate il cerchio pare richiudersi, con una “Wayout” dalle sonorità fortemente djent/meshugghiane, arricchita dalle ritmiche cangianti e sincopate di Federico e Gabriel e dalla prova vocale più violenta di tutto l’album da parte di Paolo Colavolpe. Grandi le incursioni delle chitarre, delle vere e proprie sventagliate di mitra sparate con strategica sapienza al fine di annichilire tutto e tutti.“Back Door Reprise”, come annunciato dal titolo, riprende in chiave acustica  il tema portante della precedente “Back Door Epoque” per una ghost track dai forti accenti onirici/lisergici, breve ma correttamente pensata nell’ottica di porre la parola fine su “The King Is Fat ‘n’ Old”.

Al tirar delle somme ciò che colpisce di più ascoltando (sia su disco che dal vivo) “The King Is Fat ‘n’ Old”, oltre alla qualità, elevata, della musica proposta e dell’esecuzione, è la cura per tutti i dettagli, dall’artwork alla produzione passando per la cura dell’immagine, assolutamente essenziale in un epoca di sovraesposizione mediatica come quella corrente. Inoltre, a dispetto del ricorso, in varie occasioni, all’alternanza strofa incazzata/refrain melodico, i Destrage non cedono mai alla tentazione del metalcore più smielato ed emo-oriented, e anzi, a fronte di canzoni molto ben riconoscibili e ben caratterizzate dal punto di vista delle armonie vocali e strumentali, la loro musica è globalmente molto pesante e a tratti anche piuttosto complessa, eppure piacevole e divertente. Lodevole dunque, la capacità di mescolare le carte in tavola senza mai incappare nel rischio di creare un ibrido senza capo né coda, come d’altro canto la volontà di non fossilizzarsi mai su un unico schema; tutte caratteristiche che ben delineano la personalità di un gruppo giovane ma molto determinato che costituisce un unicum all’interno di un panorama, quello del metal italiano, in buona parte dominato da ensemble di estrazione più classica.

Stefano Burini

 

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Tracklist  

01 Double Yeah    03:22

02 Twice The Price    04:07

03 Jade’s Place    03:58

04 Neverending Mary    03:48

05 Back Door Epoque    05:34

06 Smell You Later Fishy Bitch    04:17

07 Collateral Pleasure    04:47

08 Home Made Delicious Italian Chili Beef    04:20

09 Tip Of The Day    04:36

10 Panda Vs Koala    03:55

11 Wayout    05:41

12 Backdoor Reprise (Ghost Track)    01:17

 

Line Up 

Paolo Colavolpe   Voce

Ralph Salati   Chitarra

Matteo Di Gioia   Chitarra

Gabriel Pignatta   Basso

Federico Paulovich   Batteria 

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