Recensione: The last millennium

Di Beppe Diana - 7 Settembre 2002 - 0:00
The last millennium
Band: Chincilla
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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75

Inaspettato quanto lodevole come back discografico da parte dei teutonici Chinchilla che, ad appena un anno di distanza dal pur valido “Madness”, tornano con un platter nuovo di zecca che, pur perdendo i servigi del management legato a mr Limb Schnoor, vede la luce sotto le ali protettrici dell’onnipresente Metal Blade.

Assorti al ruolo di promessa dopo la pubblicazione del mini album “Who is who”, i Chinchilla si sono sempre distinti come una delle band più sfigate dell’intera scena true metal teutonica, penalizzata soprattutto da una discontinuità compositiva davvero imbarazzante, e così dopo anni ed anni di dura gavetta underground, i nostri tentano ancora una volta di scrollarsi di dosso l’etichetta di cult band, etichetta che, secondo un mio personalissimo punto di vista, gli sta proprio stretta.

Che l’ultimo “The last millennium” possa in qualche modo garantire un futuro più roseo alla band capitanata dall’arcigno vocalist Thomas Laasch? Beh, a quanto pare, le prospettive ci sarebbero pure tutte, infatti durante l’ascolto del suddetto platter, la band fa intuire in più di un’occasione di aver apportato non pochi cambiamenti all’interno del proprio stile compositivo, rendendo la loro proposta molto più omogenea e ricca di spunti interessanti rispetto ad un recente passato, basando il tutto su di un power metal molto melodico con forti richiami alla scena hard’n’heavy degli eighties, come ad un ipotetico connubio fra Scanners, Mania e i mai dimenticati Stormwitch, anche se la band che salta subito alla mente ad un ascolto frettoloso dell’album sono senz’altro gli Edguy, anche per una somiglianza vocale fra il buon Thomas ed il pluri celebrato Tobias Sammet.

Un album dunque che non apporta il benché minimo aspetto innovativo, ma che mi induce altresì a pensare che soffermarsi a questo fattore, sarebbe come voler per forza sminuire il duro lavoro di una band che sia a livello compositivo che puramente strumentale, si prodiga nella costruzioni di ottime melodie che possono fare presa sull’ascoltatore, cercando in tutti i modi di piazzare il colpo ad effetto.

La qualità melodica è di certo l’aspetto che risalta maggiormente all’interno delle singole tracce, che risultano convincenti sin dal primo ascolto, ammantate come sono da quei cori tanto catchy che ti entrano nella pelle sin dal primo ascolto, fin quando non ti ritrovi a canticchiarle dopo il primo ascolto. Unico difetto che si può imputare alla band è forse quello di basare la propria propensione metallica più sul lavoro di gruppo che sulle qualità solistiche e personali dei singoli musicisti chiamati in causa, anche se la perseveranza e la coerenza che da sempre accompagna ogni nuova uscita targata Chinchilla meritano il nostro più profondo rispetto.

Giuro che, con tanta carne al fuoco, è molto difficile districarsi nel scegliere delle possibili high list, infatti la maggior parte dei brani, eccetto qualche piccola caduta di tono come “Father sorgive me” o la cover dei Thin Lizzy “The boys are back in town”, si posiziona su ottimi registri sonori, facendo aumentare vertiginosamente le potenzialità di una band che dimostra ancora una volta, di meritare l’affetto di un’audience molto più vasta.

 Forse i Chinchilla non entreranno mai nell’olimpo delle grandi band o non saranno mai ricordati come dei capi scuola, eppure a loro modo verranno ricordati per aver contribuito, anche in minima parte, a promulgare il verbo del vero metallo, della fiamma sacra che arde dentro chi ha fatto del true metal più di una ragione di vita!!!!

Beppe “HM” Diana

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