Recensione: The Lay Of Thrym

Di Damiano Fiamin - 29 Luglio 2011 - 0:00
The Lay Of Thrym
Band: Týr
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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74

Sesto album per il gruppo faroese che, a poco più di due anni di distanza dall’ultimo lavoro, sforna un altro disco per la gioia di quella schiera di ascoltatori appassionati che è andata sempre più ingrandendosi nel tempo. Araldi di uno stile immediatamente riconoscibile, contraddistinto da sonorità piuttosto pulite, parti vocali dal timbro caratteristico e testi intrisi di tematiche tratte dalla mitologia norrena, i Týr hanno saputo ritagliarsi, in questo periodo, una folta cerchia di entusiasti, raggiungendo un livello di fama difficilmente immaginabile per un gruppo proveniente da uno sperduto arcipelago nell’Atlantico del Nord. Affinando le proprie abilità nel corso degli anni e personalizzando il proprio stile, i quattro ragazzi di Runavik sono riusciti a cesellarsi un posto in un ambiente musicale piuttosto saturo; questo ultimo lavoro è in grado di tenere alto il loro nome?

E’ immediatamente chiaro che non ci sono state brusche evoluzioni stilistiche in questi due anni: Flames of the Free, in apertura, è un brano che porta marchiate a fuoco le rune del nome gruppo: la voce, a tratti sincopata, di Joensen, i cori dei suoi compagni, un’atmosfera di generica epicità che si dipana linearmente su sonorità pulite, taglienti e metalliche. L’intelaiatura del brano è piuttosto semplice, riff immediati ed efficaci vengono riproposti sino allo sfumato finale. Il discorso non cambia nemmeno per le due canzoni che potrebbero, idealmente, comporre un dittico a tematica politica, Shadow of the Swastika e Take Your Tyrant. Mentre la prima è una denuncia contro il rinfocolarsi di ideologie che, dopo aver rovinato i padri, rischiano di contagiare anche i figli, la seconda è un inno più anarchico, un’ode alla libertà e a chi soffre a causa dell’oppressione di corrotti e malvagi. Per quanto riguarda la musica, non ci sono novità degne di rilievo: coretti accattivanti e testi immediati, ritmi sostenuti ma non eccessivi e chitarre che fanno il loro lavoro senza eccessivi virtuosismi sono gli elementi più evidenti dei due brani.
Cambio di registro per Evening Star, malinconica ballata dalle sonorità più tenui ma con un cuore duro e temprato dal gelo del Nord, giusto esempio di come, quando vogliono, i Týr siano in grado di esplorare territori differenti; non che questa digressione duri troppo, giusto il tempo di fare un po’ di riflessioni filosofiche prima di essere travolti da Hall of Freedom, sorella acquisita delle altre due tracce a sfondo ideologico presenti all’inizio del disco. Spedita marcia tamburellante, il brano riserva un posto d’onore alla sezione ritmica, basso e batteria ruggiscono facendo la parte del leone, le chitarre cristallizzate in una metodica riproposizione di accordi sempre uguali. Interessante è la guerresca Fields of the Fallen, ovviamente ispirata agli scontri eterni che attendono i combattenti più valorosi al momento della morte; la parte centrale è un lamentoso ululato di chitarra, un arpeggio così inconsueto in un disco dei Týr da lasciare quasi interdetti. Konning Hans ed Ellindur bóndi á Jaðri, unici due brani cantati in lingua madre, sono esponenti dignitose di una delle correnti compositive più caratteristiche del gruppo faroese che, infatti, ama riproporre brani appartenenti al folklore delle loro isole, riarrangiandole in una chiave più decisa e affine allo stile del gruppo. Sebbene possano suonare epici e misteriosi, i brani sono più simili a storie da raccontare ai bambini innanzi al camino che a grandiosi resoconti di battaglie; poco male, se non vi piace, basta non tener conto della traduzione! Nine Worlds of Lore è una traccia più composta, non soggetta ad eccessi per buona parte della sua durata ma piuttosto suggestiva. Lo strumentale mediano è un sussurro proveniente da terre lontane che si sviluppa pacatamente prima di esplodere in una cavalcata in cui tutti i musicisti si danno manforte (forse un po’ troppo a lungo) nel tentativo di galvanizzare l’ascoltatore in vista della traccia che da il nome all’album: The Lay of Thrym. Brano peculiare, caratterizzato da suoni meno definiti e riff più aggressivi, la conclusione del disco è uno dei brani meno convincenti; malgrado non tocchi mai livelli di bassezza eccessivi, semplicemente non lascia particolare traccia di sé. L’edizione digitale dell’album comprende anche due cover che, sebbene divertenti, sono tranquillamente relegabili nell’oblio della memoria.

The Lay Of Thrym, il cui titolo porta alla mente uno degli episodi dalla premessa più ilare dell’Edda poetica, è forse il disco della maturità dei Týr: non c’è nulla di originale in questo album ed è forse proprio questa la sua caratteristica più saliente. E’ avvenuta una cristallizzazione del suono, figlia dell’incontro tra la voglia di suonare e i desideri del pubblico; se, in passato, eravamo stati abituati ad intrecci musicali più elaborati, questa volta è tutto molto più immediato senza che, però, il disco risulti banale o brutto. Un album di facile approccio, consigliato ai fan ed ai neofiti; non rimarrà nella storia come pietra miliare della musica ma si lascia ascoltare con piacere; ammetterete che non è poco.

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracklist:

  1. Flames of the Free
  2. Shadow of the Swastika
  3. Take Your Tyrant
  4. Evening Star
  5. Hall of Freedom
  6. Fields of the Fallen
  7. Konning Hans
  8. Ellindur bóndi á Jaðri
  9. Nine Worlds of Lore
  10. The Lay of Thrym
  11. I (Black Sabbath cover – bonus track)
  12. Stargazer (Rainbow cover – bonus track)

Formazione:

  • Heri Joensen – Voce, Chitarra
  • Terji Skibenæs – Chitarra
  • Gunnar H. Thomsen – Basso
  • Kári Streymoy – Batteria

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